Assemblea. 85 milioni di bottiglie per Asti e Moscato d’Asti. Parte agricola in fibrillazione tra mugugni e proteste. I dilemmi del fondo di promozione e delle strategie future per rilanciare la denominazione

inserito il 10 Dicembre 2019

Molte idee, spesso non chiare e collidenti, nel mondo del Moscato piemontese.
S’è visto bene lunedì sera, 9 dicembre, a Santo Stefano Belbo, nel corso di un’assemblea convocata dalla componente agricola del Cda del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti docg.
La parte agricola, intesa come base di vignaioli (presenti in oltre 200), è apparsa sempre più ostaggio dei suoi mugugni e della frustrazione di non vedere appagate le proprie aspirazioni, in parte per colpe proprie.
I suoi rappresentanti in seno al Cda consortile (c’erano il vice presidente, Stefano Ricagno e i consiglieri Flavio Scagliola, Filippo Molinari, Fabrizio Canaparo, Mario Sandri e Bruno Fortunato) hanno, in qualche modo, risposto a critiche e accuse, a tratti giustificate a tratti no, su molti temi presenti e futuri.
Diciamo subito che di buono ci sono state la passione e la forza con cui i vignaioli hanno chiesto conto di temi delicati come i “sorì”, le vigne epiche che sovrastano le colline del moscato e che sono importanti anche da un punto di vista geologico, oltre che culturale, agricolo e economico. Il progetto per mapparli sta andando avanti, ma per alcuni viticoltori troppo lentamente. C’è da accelerare. Vedremo.
La questione erga omnes sulle uve è quella che ha tenuto più banco. Il fatto che i viticoltori debbano pagare, come fanno le aziende, una quota, attorno ai 250 euro ad ettaro, per contribuire a un fondo di promozione (pubblicità e comunicazione) da gestire d’intesa con la parte industria per fare réclame all’Asti e al Moscato d’Asti, non va proprio giù.
«Già guadagniamo poco, se dobbiamo anche pagare non va bene» hanno osservato alcuni. «Se non accettiamo la possibilità di gestire la promozione insieme all’industria ne va del futuro del comparto» hanno risposto i consiglieri del Cda.

Ad accendere gli animi i dati di vendita pre Natale e Capodanno 2019: 85 milioni di bottiglie con le tipologie della denominazione con segno meno in generale. Quali i motivi? «Ci sono molti fattori» da detto laconico Stefano Ricagno.

Per Giovanni Bosco, presidente del Ctm, il movimento che da decenni si batte per una cultura del moscato piemontese, per vendere più Asti e Moscato d’Asti la pubblicità non serve. Servirebbe, invece, un nuovo prodotto: il Moscato d’Asti Spumante, un progetto caro a Bosco che, tuttavia, le industrie hanno già bocciato in passato.

Intanto, nonostante i travagli della parte agricola, il progetto di installare tabelloni e segnali che indichino il territorio dove si produce Asti e Moscato d’Asti docg va avanti. «Siamo in dirittura d’arrivo con l’accordo di alcuni Comuni di Moscato» ha detto Stefano Ricagno.
Anche qui critiche e accuse, ma anche plausi a un Consorzio che non demorde e porta avanti iniziative pro filiera.
La sensazione, tuttavia, è che i vignaioli si attendano una svolta forte e importante.
Criticate le politiche commerciali di marchi locali che privilegiano prodotti di origine non piemontese, Prosecco su tutti che, è bene sottolinearlo, è imbottigliato da molte Cantine piemontesi.
«Ma è anche responsabilità di tutti noi promuovere le nostre eccellenze, in ogni occasione, da quella privata a quelle più pubbliche» ha annotato in margine Ricagno.
Da annotare anche l’intervento di Marco Reggio, presidente della Coldiretti astigiana che ha annunciato la “marcia dei trattori” prevista a Torino per la prossima settimana, «Chiederemo tutele per l’agricoltura piemontese» e ha ribadito la lotta coldirettiana per l’etichettatura trasparente che indichi l’origine dei prodotti non solo doc. Secondo Coldiretti, e non solo, questa pratica potrebbe dare impulso alle produzioni la cui denominazione d’origine sia certificata.
Storia vecchia quella dei piemontesi che non riescono più a valorizzare i propri prodotti. Anche se qualcosa sta cambiando, anche nel mondo vinicolo. Fenomeni come il Nizza docg, il Freisa o il Ruché, il Grignolino o l’Alta Langa, fanno concretamente pensare che quando non litigano e stringono i denti, magari riuscendo a spuntare prezzi dignitosi sulle uve, i piemontesi riescano a ottenere risultati importanti.
In questo senso il mondo del moscato è in forte ritardo, ma ci sono, anche qui, segnali che sembrano confortare: il Canelli docg (super Moscato d’Asti la cui denominazione verrà vagliata in sede nazionale e Ue), l’Asti Secco docg a cui, con Asti dolce e Moscato d’Asti, servirebbe un buona e soprattutto continuativa campagna di promozione magari da parte delle aziende e magari proprio da quelle che ne hanno voluto fortemente la nascita.
Sul fronte consortile Asti e Moscato d’Asti docg sono stati oggetto di press tour recenti, con ospiti italiani e stranieri, ma a questo e alla comunicazione su social e web, forse, come alcuni viticoltori hanno ribadito, bisognerebbe aggiungere forme di promozione istituzionale/territoriale su altri media sulla scorta di quello che sta facendo in queste settimane il Consorzio del Brachetto che sta affrontando una situazione decisamente meno rosea di quella del moscato.
Infine ci sia concesso un commento. La parte agricola del moscato piemontese, al di là di strepiti e proteste sempre legittimi, è e resta l’essenza più vera del comparto e, per questo, anche la più debole e fragile.
La speranza, se non il consiglio, è che si mettano da parte individualismi e partigianerie e si guardi al quadro d’insieme che è importante tanto quanto un singolo particolare.
Fare buona uva e farsela pagare bene non è facile. Fare ottimi vini e vederli al giusto non è facile. Facilissimo è, invece, rovinare tutto con un tutto contro tutti che non serve a nessuno.
Difficile assimilare un concetto che in questo periodo nessuno in Italia pratica con il prolificare di divisionismi estremi che non portano da nessuna parte.
Destra-sinistra, neri-bianchi, verdi-rossi, gialli-verdi, ricchi-poveri, italiani-non italiani, sono tutte bestemmie sociali che non dovrebbero avere cittadinanza in un Paese che ha sempre fatto della bellezza e della cultura, della buona tavola e dei suoi grandi vini, strumenti di unione e di condivisione, magari attorno a una tavola imbandita.

SdP

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