Assomoscato in assemblea: Satragno parla di Tar e reddito agricolo. Ma si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa e critica sindacati rurali e piano di rilancio di Asti e Moscato

inserito il 30 Aprile 2009

 

Giovanni Satragno parla all'assemblea di Assomoscato

Giovanni Satragno parla all'assemblea di Assomoscato

Giovanni Satragno, presidente di Assomoscato, l’associazione che raggruppa oltre duemila viticoltori della zona di produzione dell’uva base per Moscato e Asti spumante docg, è intervenuto all’assemblea generale dei soci che si è svolta il 30 aprile ad Asti. Ecco il testo del suo discorso, nel quale affronta temi delicati, come la sentenza del Tar del Lazio – che Sdp diede a suo tempo in anteprima nazionale – che ha cassato il decreto ministeriale che inseriva la città di Asti e il suo territorio nella lista dei Comuni (52) della zona di produzione compresa tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo; l’adeguamento del reddito agricolo dei viticoltori e le perplessità in relazione ad un piano di rilancio per Asti e Moscato docg che, secondo il presidente di Assomoscato, non avrebbe sortito i risultati promessi e previsti.

«Questa la considero oltre che una giornata di lavoro e di riflessioni anche una giornata di festa, quasi un anniversario in quanto la nostra associazione nel 2008 ha compiuto i primi 25 anni di attività. È un traguardo importante nonostante i reiterati attacchi avvenuti nel corso degli anni da più parti e soprattutto da altre compagini agricole e sinceramente non riesco a comprenderne il motivo. Nonostante tutto la Produttori è ancora qua, quanto mai vegeta a difendere il proprio ruolo nella tutela dell’esclusivo interesse dei produttori di Moscato.

 Significa che la gente sa ancora distinguere il grano dalla zizzania.

Una vicenda che sindacalmente ci ha molto impegnati è quella riguardante l’inclusione del territorio del Comune di Asti per la produzione di Asti docg.

Cerco di descrivervi i fatti così come sono avvenuti senza vena polemica ma con la sincerità che mi è abituale.

A maggio 2008 abbiamo constatato l’inserimento del territorio di Asti nella zona di produzione Asti docg con una procedura d’ufficio molto sbrigativa. Questo è avvenuto con un decreto dell’allora ministro alle Politiche Agricole, facendo un vago riferimento ad una legge europea, la numero 1493 del 1999, che secondo alcuni prevederebbe l’inserimento della città che dà il nome al prodotto.

 Ciò avvenne bypassando i regolari passaggi che occorre compiere per un eventuale allargamento della zona d’origine e soprattutto saltando a piè pari i cinque anni di sperimentazione necessari per verificare l’idoneità del vino.

 Questa accelerata decisione ci è stata venduta come un grande favore verso tutti i produttori a tutela del nome di Asti. Venuti a conoscenza del decreto, riunito il consiglio di amministrazione, avverso a tale imposizione, all’unanimità decidemmo di opporci.

Fummo seguiti anche dal Comune di Coazzolo e dalla Associazione dei Sindaci del Moscato.

Incaricammo uno studio legale milanese ed iniziammo la trafila del ricorso. In prima istanza chiedemmo al TAR del Lazio la sospensione del provvedimento, e successivamente al Consiglio di Stato, ma entrambe le richieste ci furono respinte. La sentenza definitiva, però, avvenuta il 23 febbraio ci diede ragione annullando definitivamente il DM: ora i comuni del Moscato tornano ad essere 52.

 Questo è stato fatto, non per ostilità verso il Comune capoluogo, ma per il metodo arrogante adottato. Non dimentichiamo che il Moscato ha adottato un sistema di autogoverno con le varie componenti della filiera in cui si programmano tutti gli aspetti di rilevanza economica.

 Si programmano anche i sacrifici quando si riducono le rese e queste sono scese fino a 70 quintali ad ettaro solo tre anni fa. Si sono gestiti gli stoccaggi quando sono serviti e si sono supplicati interventi di  distillazioni assistite per ben due volte.

 Questa del comune di Asti semmai era una decisione delicata da ponderare tutti insieme  e magari in modo simbolico e non con l’intero territorio comunale che da solo raggiunge i 15.000 ettari, senza fare la benché minima zonizzazione.

 Come dichiarato per ora abbiamo vinto contro la baldanza del potere politico ed economico.

 Mi rimane  però una leggera delusione.

 Alcune componenti agricole dapprima unite a noi, con delle belle dichiarazioni anche sui giornali, che noi utilizzammo tra l’altro come materiale per i nostri legali, alla fine quando si è trattato di votare nella commissione romana per la tutela delle DOC ci hanno un po’ abbandonati.

 Sul fronte delle trattative ritengo che qualcosa ci sia ancora da dire.

 Si è concluso alla fine dell’estate scorsa, un accordo che prevedeva una resa di 95 quintali ed un aumento di prezzo di appena il 4%. Nonostante ripetute richieste non fu riconosciuto alcun aumento sul costo di trasformazione uva-vino.

 Un accordo che ci soddisfò solo in parte, considerando le produzioni disomogenee tra zona e zona e tra vigna e vigna. Questo dovuto ad un andamento climatico poco augurabile per il futuro e quindi una resa “tirata” sopra la media reale, anche perché pareva che dovesse mancare il prodotto per soddisfare il fabbisogno. Alle errate previsioni dell’uomo (mi riferisco alla miopia di alcuni responsabili aziendali che hanno azzerato le scorte fisiologiche) ha forse pensato la sopravvenuta crisi dei consumi, che hanno frenato le vendite. Il pericolo di rimanere senza prodotto è stato scongiurato e a questo punto direi: fin troppo scongiurato! A riguardo dell’ultimo accordo non ci riteniamo soddisfatti anche per l’atteggiamento di chiusura tenuto dai responsabili delle aziende spumantiere che, come al solito, ci hanno costretti per strappare un centesimo sul prezzo a combattere fino alle tarde ore della notte. Per  questo abbiamo chiesto ed ottenuto incontri con i vertici delle aziende più significative, invitandoli per il futuro ad evitare ingiustificati atteggiamenti di chiusura.

 Il prezzo al chilo deve ora vedere riconosciuta l’inflazione, lo prevede l’accordo quadro, ed inoltre il costo di trasformazione uva-mosto necessita assolutamente di essere adeguato, considerato che da almeno quindici anni è fermo alle vecchie 280 lire. Noi siamo disponibili a comprendere le vicissitudini di tutti, ma sappiamo bene che le case vinicole per la loro produzione si adeguano ai costi della manodopera, degli ammortamenti, del vetro, della energia elettrica, ecc… e non accettiamo che l’unico “ammortizzatore” sia individuato nella materia prima.

 Per quanto riguarda il mercato dell’Asti nella precedente compagna c’è stata una flessione del 4,5%. Nei primi mesi di quest’anno i dati dell’imbottigliato non sono rassicuranti. Speriamo che ci possa essere a breve non proprio un’inversione, ma una forte regressione del calo. L’esperienza ci ha anche insegnato che il tanto sbandierato piano di rilancio non ha funzionato come si sperava. Nel 2007 ci fu un incremento  di vendite laddove non fu applicato il piano ed una flessione del mercato Italia dove venne applicato. Si evince quindi un principio di non automatismo tra l’investire in propaganda ed il risultato nei numeri.

 Il principio più collaudato credo sia quello della serietà della quale noi siamo capaci. Il rispetto delle regole, nel produrre bene, con qualità, non esagerando nei quantitativi, solo per far peso a causa dei bassi prezzi unitari.

 La qualità non è un valore astratto, il consumatore lo percepisce eccome. Tutti i grandi vini che hanno avuto fortuna nel mondo non hanno tralasciato questo aspetto; anzi l’hanno inserito per primo. La nostra categoria agricola non è distratta ma è fatta di gente attenta.

 Sa recepire i messaggi, ma certo la filiera deve essere d’accordo tutta, anche chi fa gli acquisti. Dal nulla non si ottiene nulla. Anche la maggiore qualità ha un costo, quindi un prezzo e questo bisogna pagarlo e non far finta di pagarlo come si è fatto fino ad ora.

 I comportamenti della controparte ed i loro atteggiamenti nella commissione paritetica non sempre sono comprensibili, hanno creato un ambiente di “finte”, di “mosse” e noi ci sentiamo un po’ a disagio. Noi siamo figli della terra, quindi concreti e credo che anche questo sia un valore che paga. D’altronde negli ultimi anni avendo basato un mondo economico sulle bolle abbiamo visto dove siamo finiti.

 Il nostro obiettivo è quello di poter mantenere un reddito dignitoso ai produttori di Moscato. Lo stesso reddito lo devono percepire sia i produttori singoli sia coloro che conferiscono alle cantine cooperative perché tutti figli uguali della stessa terra.

 Chi dall’estero ci viene a visitare, specialmente nei mesi estivi, rimane impressionato da come sono curate le nostre colline del Moscato, in maniera ordinata, quasi maniacale, grazie al carattere ambizioso dei nostri viticoltori. Dobbiamo impegnarci affinché questo patrimonio (parte di questo candidato al riconoscimento dell’Unesco) possa rimanere inalterato negli anni.

 Per fare questo si dovrà garantire un reddito adeguato.

 Per quanto riguarda le attività promozionali come saprete è da qualche anno che ci occupiamo esclusivamente della promozione, in Italia e con varie missioni all’estero, del Moscato d’Asti, il nostro vino più squisitamente contadino.

 Intraprendiamo queste iniziative con uno scopo sia di promozione istituzionale, sia per creare una possibilità di approccio e di eventuali contratti da parte dei nostri associati.

 Merita un accenno l’ultima trasferta in America, dove con un vero colpo di fortuna a Chicago abbiamo fatto il winetasting nel ristorante “Spiaggia”. Proprio quello preferito da Barack Obama, dove poi ha festeggiato la vittoria con tutta la sua famiglia.

 Ci siamo orientati verso gli stati orientali partecipando alla fiera Foodex Japan a Tokyo, e ad un workshop in Corea (Seul). Con l’Ice (istituto per il commercio estero) siamo stati a San Pietroburgo e a Kiev. Appena qualche settimana fa in collaborazione con l’ambasciata italiana, abbiamo presentato i nostri prodotti a Minsk (Bielorussia).

 Ci occuperemo nei prossimi giorni con una folta schiera di aziende (17) nel presentare i nostri vini nei paesi scandinavi (Stoccolma, Helsinki, Oslo). Per preparare bene questa missione, lo scorso mese, abbiamo ospitato una delegazione di giornalisti provenienti dalla Scandinavia. Abbiamo fatto loto visitare le colline del Moscato e le nostre cantine, al fine di creare un clima di consapevolezza circa la storia e tradizione del Piemonte. 

Abbiamo allestito il nostro stand al Vinitaly di Verona nel padiglione Piemonte, e, in questi giorni, siamo ad Alba al “Vinum”. Nell’autunno scorso fummo presenti sempre ad Alba alla Fiera Regionale del Tartufo.

Abbiamo partecipato al Moscato Wine Festival che si svolge ogni anno a giugno in Torino.

 Le finalità sono sempre le stesse, cioè far conoscere sempre meglio e sempre a più persone il nostro vino il Moscato d’Asti. Si è ragionato per team, come fanno le scuderie sportive.

Credo sia questa l’unica possibilità per ottenere risultati».

 

 

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