Barolo e Barbaresco alla prova del Covid 19. Ascheri (Consorzio): «Su prezzi in picchiata e rischio invenduto notizie non corrette. I numeri sono in linea col 2019. Ma fare vino non è come fare bulloni». E nel 2021 arriva la Cina.

inserito il 16 Luglio 2020

La notizia data da un quotidiano qualche giorno fa aveva del clamoroso: prezzi del Barolo e del Barbaresco in picchiata, invenduto in salita e mal di pancia tra l’assemblea dei vignaioli e il Consorzio di Tutela a cui era stata bocciata l’ipotesi di una riserva vendemmiale anti crisi Covid -19.
Per Matteo Ascheri (foto), presidente del Consorzio e produttore, le cose non stanno proprio così.

«I dati che abbiamo e che ci arrivano da Valoritalia non descrivono questa situazione – dichiara a SdP – Per quanto riguarda i prezzi – prosegue – siamo attorno ai 6 euro al litro per il Barolo e cinque per il Barbaresco. Basta rispettare la matematica e fare le giuste moltiplicazioni. Per il resto l’invenduto per Barolo e Barbaresco si chiama affinamento. Questi sono vini per il cui il tempo lavora bene. È il loro vantaggio su altre tipologie che, invece, hanno vita meno longeva».
Dagli uffici consortili di Alba fanno sapere che: «Il -16% nella produzione del Barbaresco è motivato dall’annata meno produttiva rispetto alla 2016» e che «anche la giacenza del Barbaresco 2017 (50%) è in linea con il dato dell’anno scorso (stesso periodo) relativo al Barbaresco 2016 (51%)».
Inoltre viene contestato anche il numero riferito al crollo dei prezzi al litro dello sfuso indicato, secondo la fonte giornalistica, dall’Ismea (l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare). In questo senso il Consorzio del Barolo e del Barbaresco, infatti, ha annunciato un’imminente nota stampa di precisazione perché il dato Ismea sarebbe errato e il prezzo del Barolo sfuso non sarebbe 4 euro, come riferito dal quotidiano, ma 5,85, «con un calo del 15% circa, in linea con la situazione generale» puntualizzano dal Consorzio.
Poi, però, c’è la questione della riserva vendemmiale. Il Consorzio ha proposto di mettere da parte un po’ di prodotto, per evitare possibili contraccolpi. Quelli del Barolo hanno detto no per la stragrande maggioranza, sembra 163 vignailli contro 70. Quelli del Barbaresco ci han messo un po’ più di dibattito, ma hanno detto sempre no, 84 a 80 però.
Per questo c’è chi ha pensato che Ascheri dovesse addirittura dimettersi. «E perché mai? – dice a SdP -. Abbiamo fatto una proposta, i vignaioli sono sovrani e padroni del proprio destino e hanno deciso diversamente. Punto. Se ne sono assunti la responsabilità, com’è giusto che sia. Vedremo. Il tempo gioca a favore di questi due grandi vini, ma fare vino non è come fare bulloni o auto. Noi prima produciamo e poi vendiamo. Non viceversa come accade in tante filiere industriali».
Però qualcosa si dovrà pur fare per andare sui mercati, riannodare i fili strappati dalla chiusura (lockdown) da Covid -19.
Dice Ascheri: «Per il 2021 abbiamo in calendario la Cina e incoming qui nelle nostre vigne».
Insomma il Re avrà anche qualche piccolo strappo ai vestiti, ma non sembra essere nudo e men che meno immobile.
Qui sotto la tabella fornita dal Consorzio con i dati relativi alle giacenze.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)




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