Commento. Perché un Asti docg sul tetto del mondo deve far aprire gli occhi e chiudere la bocca a tanti

inserito il 5 Novembre 2019

Cominciamo dalle cose belle. L’Asti docg “Acquesi” di Cuvage ha vinto la medaglia d’oro per il migliore spumante aromatico al mondo nell’ambito di un famoso concorso per Champagne e altre bollicine che si fanno nei cinque continenti.
Non è poco, ma deve essere considerato non un punto di arrivo, ma un punto di partenza.
Nello stesso concorso, lo “Champagne & Sparkling wine world champioships”, un altro Asti docg, quello della Bosca di Canelli, ha avuto la medaglia d’argento (per i risultati completi del concorso cliccate qui) e questi fatti qualcosa vorranno pur dire.
Nella sera della premiazione, il 4 novembre scorso, siamo stati invitati a Priocca, per seguire in diretta social, sia la premiazione londinese sia una degustazione di quattro tipologie di Asti e Moscato d’Asti (un Asti Secco, un Asti docg dolce metodo Martinotti, un Moscato d’Asti docg e un Asti docg dolce Metodo Classico), firmati da “Acquesi” di Cuvage.
Ne è venuto fuori un viaggio nella memoria e nella consapevolezza di quello che ha ben sintetizzato l’enologo Loris Gava, veneto doc, che presentando i quattro vini in degustazione ha detto: «Il moscato non è un ottimo vitigno, ma un vitigno eccezionale che dà uve eccezionali da cui si ottengono vini eccezionali. Dobbiamo partire da questo prima di assaggiare l’Asti e il Moscato d’Asti docg».
E che lo abbia detto un veneto è una cosa che già di per sé dovrebbe far riflettere.
Poi c’è stata la degustazione guidata da Paolo Massobrio il quale ad un certo punto ha esclamato: «Sentite che morbidezza che profumi che gusti. Ma che cosa ci siamo persi e perché…?». Già, che ci siamo persi e perché?
A fine degustazione lo abbiamo chiesto al presidente del Consorzio dell’Asti, Romano Dogliotti, che ha partecipato alla serata di Cuvagne-Mondodelvino. Questa la sua risposta secca: «Non ci siamo persi proprio un bel niente. È tutto in questi calici, in queste bottiglie. Il Moscato d’Asti e l’Asti sono vini pregiatissimi e rari di cui dobbiamo andare fieri». Andare o riandare dieri. Perché quello che è venuto fuori dal mini dibattito suscitato dalla nostra domanda è la solita cosa, che, cioè, i piemontesi hanno perso quel senso di appartenenza e di orgoglio nei confronti dei proprio vini che nemmeno i tifosi della gloriosa Longobarda allenata dal mitico Oronzo Canà alias Lino Banfi.
Ecco, lo abbiamo detto per l’ennesima volta, ma certo ripetere giova: un certo tafazzismo radicato nella filiera, e mica solo in quella del moscato, non fa bene a nessuno, anzi fa male, malissimo soprattutto ai vignaioli.
E a proposito di vignaioli segnaliamo l’accorato appello di un altro presidente presente alla serata del 4 novembre, Paolo Ricagno, la cui famiglia è partner di Mondodelvino con Cuvage e altri marchi piemontesi. Paolo Ricagno, già presidente del Consorzio dell’Asti, oggi alla guida del Consorzio del Brachetto, altro aromatico piemontese di grande pregio al centro di una crisi poco comprensibile, stimolato dal dibattito ha posto l’accento sul prezzo delle uve. «Dobbiamo convocare un forum generale per discutere sul perché le uve, con rarissime eccezioni, vengano pagate molto meno del loro valore e molto meno di altri prodotti che hanno costi di produzioni infinitamente minori».
Forse Paolo Ricagno non lo ha percepito o forse sì, ma il suo appello, tra i calici di degustazione a Priocca, ha risuonato più come un atto rivoluzionario che un pacato invito all’analisi. E ci sta, eccome se ci sta in un momento storico in cui molti dicono che l’Asti docg è in crisi, ma pochi, pochissimi fanno qualcosa.
A questo punto finiamo anche noi con un appello: facciamo che ci mettiamo a fare uva ottima, come facciamo quasi sempre, magari tutta docg, questo non accade sempre, e facciamo che i “superi” neppure sappiamo cosa sono e quelli che li vendono sottobanco gli togliamo i bollini e bon.
Facciamo che gli spumantelli simil Asti siano fatti con uve che non siano il moscato piemontese e facciamo che i vignaioli abbiano finalmente un reddito decoroso, diciamo almeno 15/20 mila ad ettaro (cancellati gli esuberi con cui, se ci sono, facciamo succhi e cremine) e facciamo che le Industrie si impegnino a vendere a prezzi non delle patate o delle castagne e tornino a fare la réclame in tv magari non solo a Natale e facciamo che il Consorzio di tutela sia libero di fare la pubblicità come fanno altri consorzi, non solo alla denominazione ma all’intero territorio che è pure patrimonio mondiale Unesco, magari con l’aiuto della Regione, che farebbe la regia di tutto, e di uno Stato che finalmente dovrebbe vedere il vino come strumento di diplomazia internazionale (vedi i cugini francesi) e non come oggetto di vessazione burocratico-fiscale.
Facciamo anche che tra chi si occupa di comunicazione, prima di scrivere minchiate, ci si aggiorni e ci si informi un po’ (ragazzi c’è Internet per questo, usatelo) e, alla fine, facciamo che si aprano tanti occhi e tante bocche si chiudano. Perché come dice Loris Gava il moscato è un vitigno eccezionale che dà vini eccezionali. E se lo dice uno che piemontese non è dovrebbero crederci anche i piemontesi, magari nonostante loro stessi. Amen.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

2 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 5 Novembre 2019 at 20:25 -

    Anche io sono contento di riuscire a fare sogni, ma sono più contento de si avverano. E secondo me questo si avvera.

  2. giovanni bosco 5 Novembre 2019 at 18:19 -

    Pensavo che in questo mondo del moscato di essere rimasto l’unico sognatore. Fa piacere di ritrovarmi in compagnia di Filippo..

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