Cuochi e Covid. L’anno orribile della ristorazione piemontese tra disagi e incertezza per il futuro. «Vogliamo controlli e vaccini per ripartire, il più presto possibile»

inserito il 16 Febbraio 2021

Il mondo della ristorazione in questo momento assomiglia sempre di più a una pentola d’acqua in lenta, ma inesorabile, ebollizione.
Tra poco sarà il primo anniversario del primo lock down (chiusura) da pandemia in Italia. Sembrava un incidente momentaneo, sembra una cosa lontana, un’emergenza a migliaia di chilometri dall’Europa. E invece è arrivata a casa nostra, ci ha sorpresi, invasi, travolti e si sta protraendo per tanto, troppo tempo.
Prima c’è stato lo tsunami sulla salute, con i malati e, purtroppo i morti, un dramma che ancora oggi non accenna a finire.
Poi ci sono stati gli effetti sull’economia del Paese che sono stati e sono devastanti con categorie, come quella dei ristoranti, che soffrono danni ingenti.
E se in un primo tempo, sull’onda della prima emergenza sanitaria con il numero dei contagiati e dei morti in impennata perenne, il senso di responsabilità civile ha avuto il sopravvento, ora, anche a seguito di decisioni politiche di difficile interpretazione, la pazienza dei ristoratori sta vacillando. Sommersi da costi di gestione che non si sono mai abbassati, da obblighi contributivi mai cessati e da ristori e aiuti spesso non sufficienti, i titolari di ristoranti si trovano ora in un mare in burrasca senza un approdo sicuro in vista.
Inoltre le speranze nel nuovo Governo Draghi, in carica da pochi giorni, sembrano, almeno in parte, essere state disattese dall’improvvisa decisione del ministero della Salute di proseguire nella chiusura delle piste da sci anche in questo ultimo scorcio di inverno che avrebbe potuto dire turisti e incassi. Una decisione che è giunta dopo che per settimane si era parlato di riapertura e che ha esasperato ancora di più le categorie legate all’accoglienza hotel e ristoranti in testa.
Inevitabili le proteste.
La più eclatante a Genova qualche giorno fa. Lunedì 15 febbraio, centinaia di ristoratori liguri, tra cui anche chef stellati, sono scesi in piazza bloccando il traffico non senza polemiche e problemi di Ordine pubblico, tanto che il sindaco della città ligure, Marco Bucci, ha lanciato un allarme coesione sociale.
In Piemonte la situazione non è migliore. In una regione che, al pari di tante altre, ha fatto del turismo gastronomico uno dei suoi volani economici, i mesi di stop forzati hanno creato disastri indicibili.
SdP ha chiesto ai cuochi piemontesi proprietari di ristoranti come la pandemia abbia cambiato la loro prospettiva professionale e personale. Ecco cosa ci hanno detto.

Maurilio Garola (La Ciau del Tornavento – Treiso d’Alba, Cuneo)

Maurilio Garola


«C’è poco lavoro. Questo è un fatto. Lavoriamo soprattutto nel fine settimana, ma la gente ha voglia di uscire e venire nei nostri locali. E anche questo è un fatto. Nel giorno della festa di San Valentino, come gli colleghi, abbiamo lavorato solo a pranzo e abbiamo dovuto rifiutare centinaia di prenotazioni per mancanza di spazio, perché noi rispettiamo le regole imposte dall’emergenza sanitaria. C’è poi anche la questione del Governo. Ancora oggi mi sembra che si navighi a vista con decisioni prese da un giorno all’altro senza considerare le caratteristiche uniche del nostro lavoro. A giugno abbiamo riaperto. Abbiamo lavorato fino a settembre. È stata un’illusione. Ci hanno chiuso di nuovo. L’ultimo episodio eclatante è la chiusura, comunicata all’ultimo minuto, delle piste da sci dopo che per settimane si era parlato del contrario. Ristoratori e alberghi che si era attrezzati per la riapertura, avevano acquistato cibo, assunto personale, accettato prenotazioni, hanno dovuto restare fermi. Il danno è stato enorme. Chi pagherà. Cosa si farà per loro? Per i dipendenti? La mia speranza per il futuro è che vengano fatti i controlli per poi far lavorare chi come noi, e siamo in tanti, ha sempre rispettato le regole del distanziamento e della sanificazione. Una volta fatte le verifiche, però, ci facciano aprire a pranzo e anche a cena, perché è ora che si dica che non sono i ristoranti a essere veicolo di contagio. Francamente credo che tutto sia da ricondurre a chi non ha rispettato le regole. Per queste persone, e credo siano pochi, ora paghiamo tutti. Non è giusto e non è accettabile. Chi rispetta le norme ha il diritto di continuare a lavorare. C’è da augurarsi che ci vaccinino al più presto, ne va della salute prima di tutto, ma anche dell’economia di questa regione e di questo Paese».

Sara Chiriotti (I Caffi – Acqui Terme, Alessandria)

Sara Chiriotti


«I clienti vengono solo il sabato e la domenica a pranzo, secondo la regola imposta dall’emergenza sanitaria. È molto triste per noi che abbiamo dovuto dimezzare i posti come da disposizioni governative. Quello che però è difficile da comprendere è perché, pur rispettando le regole, non ci viene consentito di lavorare anche a cena. Cosa cambia rispetto al pranzo? Noi abbiamo dimezzato i posti e messo in atto tutte le norme igieniche anti pandemia. Eppure i ristoranti vengono considerati a rischio, non capisco in base a che cosa. Sono d’accordo su controlli stringenti, ma proprio in base a questi controlli, se un ristorante è in regola, dovrebbe essere premiato con l’apertura anche serale. Sarebbe un atteggiamento saggio e soprattutto rispettoso oltre che delle norme anti Covid anche del nostro lavoro».

Walter Ferretto (Il Cascinale Nuovo  – Isola d’Asti, Asti)

Walter Ferretto

«Quello che è stato fatto a danno della ristorazione ha dell’incredibile. Troppi “stop and go”. Troppe decisioni affrettate e prive di fondamento logico. Il tema dei controlli è primario. Noi, insieme a tanti colleghi, siamo in regola. Abbiamo tutti i dispositivi per lavorare e accogliere in sicurezza clienti e collaboratori. Invece siamo trattati come untori. Non è accettabile. Come quello è recentemente accaduto per gli impianti da sci. Non è stato dimostrato alcun rispetto nei confronti dei colleghi che operano nelle zone di montagna. Un enorme danno non solo per loro, ma per l’intera filiera del cibo, del vino e del turismo. Un disastro. Del resto questo 2021 si annuncia professionalmente non diverso e, se possibile, più problematico del 2020. Noi abbiamo lavorato molto con il delivery, ma è solo un piccolo aiuto. Nell’ultimo fine settimana di San Valentino abbiamo dovuto rinunciare a centinaia di prenotazioni per rispettare le regole Covid. Ma il nostro lavoro è accogliere i clienti, coccolarli, non rifiutarli. Mi auguro che il Governo riesca a trovare soluzioni più reali e adatte alla nostra realtà, pur nel rispetto della Salute pubblica che viene prima di tutto. Ci devono essere i controlli, anche stringenti, ma anche vantaggi per chi rispetta le regole. Non credo che i “furbetti” siano tanti. La stragrande maggioranza dei ristoratori è ligia alle direttive. Spero, infine, che arrivi presto il vaccino per tutti in modo da metterci alle spalle questa bruttissima situazione»

Luca Zecchin (Guido da Costigliole al Relais San Maurizio – Santo Stefano Belbo, Cuneo)

Luca Zecchin


«È stato un anno terribile, umanamente e professionalmente. Però, la pandemia, con tutto il dolore e i drammi che ha portato, ha anche cambiato le mie prospettive personali. Ho apprezzato il calore famigliare e capito che il lavoro, che per noi ristoratori spesso assorbe completamente, è solo una parte della vita. La famiglia viene prima. Detto questo il nostro ristorante ha subito contraccolpi durissimi esattamente come gli altri. Ci siamo attrezzati con il delivery e l’asporto, ma il lavoro in presenza, non sembri banale dirlo, è un’altra cosa. Cosa spero per il futuro? Per primo che si risolva l’emergenza sanitaria e che tutti rispettino le regole, poi che ci siano disposizioni sagge e rispettose della salute e del lavoro e che arrivi il vaccino per tutti e si torni a una nuova normalità dove, magari dovremmo stare sempre attenti, ma saremo liberi di lavorare come una volta, magari con maggiore consapevolezza di quanto abbiamo. Sono riflessioni che la pandemia ci obbliga a fare e che vanno fatte»

Mariuccia Roggero Ferrero (San Marco – Canelli, Asti)

Mariuccia Roggero Ferrero


«Un anno orribile e terribile che non è ancora passato. I problemi che ha causato il virus, prima di tutto quelli alla salute, sono stati devastanti, altrettanto gravi quelli al nostro lavoro e quello di tante persone. Noi, tuttavia, non ci siamo fatti travolgere e abbiamo lottato e stiamo ancora lottando con tutte le nostre forze. Abbiamo avviato il delivery e l’asporto, abbiamo lavorato molto, i nostri clienti lo hanno apprezzato, tuttavia il nostro tipo di ristorazione è fatto di presentazione e di servizio, di accoglienza e comunicazione, tutte cose impossibili da trasmette in un pacchetto, sia pure ben fatto e con dentro le nostre migliori preparazioni. Noi siamo artigiani del gusto, cesellatori dei sapori, costruttori di quel turismo enogastronomico che è alla base dell’economia italiana e piemontese. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria abbiamo fatto di tutto per rispettare le regole. Abbiamo controllato gli ingressi dei clienti, misurato la loro temperatura, sanificato ambienti, oggetti e servizi, messo a disposizione gel disinfettanti e distanziato ulteriormente i nostri tavoli con attenzione ai dispositivi di protezione personale per noi, i nostri collaboratori e i clienti.
Questo, però, sembra non essere servito. Perché il Governo e i suoi consulenti tecnici continuano a pensare alla ristorazione come a un veicolo di contagio, Non è così. Bisogna dirlo forte e per dimostrarlo dovrebbero esser messi in campo ingenti controlli per punire chi non rispetta le regole e, viceversa, premiare chi è ligio alle norme. Oggi siamo allo stremo. Siamo stanchi e sfiduciati. Serve che lo Stato e il Governo, le istituzioni di questo Paese, ci supportino in modo concreto e fattivo. Perché noi abbiamo voglia di tornare a lavorare. Per San Valentino abbiamo dovuto rinunciare a molte prenotazioni e abbiamo fatto, per la prima volta nella storia del nostro ristorante, due turni a pranzo. I clienti hanno capito, hanno condiviso la nostra scelta. Sono segnali che devono essere presi in considerazioni da chi decide di chiudere o aprire attività che non sono come un motore che si accende o si spegno, ma hanno bisogno di rispetto e attenzione. Il nostro lavoro non è solo cucinare, non è solo servire dei piatti. Noi siamo le tradizioni, la cultura, la storia  e la stessa società di paesaggi e territori che sono unici al mondo. Nessuno lo dimentichi».

Alessandra Bardone (Belbo Da Bardon – San Marzano Oliveto, Asti)

Alessandra Bardone


«Per scelta non abbiamo fatto delivery. Siamo aperti, come da disposizione ministeriale, solo a pranzo. Abbiamo lavorato molto. I nostri clienti ci seguono. Per fortuna. L’anno della pandemia ha causato problemi di lavoro e personali durissimi. Personalmente mi preoccupa peri prima cosa il rischio a cui sono esposti i miei famigliari. Poi ci sono i problemi sul lavoro. Che non sono lievi. Le difficoltà di viaggiare per i turisti stranieri e per quelli provenienti da altre regioni italiane sono enormi. Il futuro è legato alla soluzione dell’emergenza Covid prima di tutto per la sicurezza della salute e poi per la ripresa economica che passa attraverso regole certe, controlli adeguati e aiuti concreti»

Nicola Batavia (Birichin – Torino)

Nicola Batavia


«Il settore della ristorazione italiana ha affrontato l’emergenza della pandemia nel solito modo: diviso. In questi mesi, assistendo alle chiusure e aperture improvvise decise dal Governo, agli atteggiamenti delle istituzioni centrali rispetto a questa o quella categoria, mi sono chiesto come un presidente del Consiglio italiano si sarebbe comportato se avesse dovuto rispondere alle richieste di un comparto unito in una sola sigla, rappresentante centinaia di migliaia di lavoratori con un volume d’affari di decide di miliardi di euro. Ecco, nessuno mi toglie dalla testa che l’atteggiamento sarebbe stato diverso, non so se più morbido, ma certamente più attento, più accorto e riflessivo. Il nostro è un mondo troppo diviso. Sotto la voce ristorazione ci sono troppe sfumature, troppe realtà che in comune hanno solo il cibo. Non è sufficiente. Dovrebbero esserci, come ci sono, differenze sostanziali. Del resto la grande maggioranza dei ristoranti hanno adottato, impiegando risorse e soldi, le necessarie disposizioni di sicurezza igienico sanitaria che, vorrei sottolineare, sono valide sia a pranzo sia a cena. Personalmente questa pandemia, con tutti gli enormi problemi che ha portato e senza dimenticare il dramma dei contagi e dei morti che pesano come macigni, mi ha anche permesso di sviluppare, oltre al delivery e all’asporto, alcuni progetti di e-commerce che hanno avuto enorme successo, come la box “Sei tu lo chef”, una scatola da spedire al domicilio del cliente con gli ingredienti per la preparazione di un pasto completo e le coordinate digitali per accedere a un link web dal quale visionare un tutorial che insegna come cucinarlo; o l’iniziativa “Chef a casa tua” con la possibilità di avere un cuoco a domicilio per una cena tra amici, nel rispetto delle disposizioni di legge, ovviamente. Insomma
Ora cosa mi aspetto dal 2021? Molti problemi, tanti intoppi, molti errori, ma anche la speranza di uscire da questo periodo più forti e più smart con nuove prospettive e progetti. Ed è proprio questo spirito che le istituzioni dovrebbero tutelare perché è quello che fa muovere tutto il comparto e anche il nostro sistema Paese».

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

 

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