Dazi Usa. Il mondo del vino italiano in allarme (tardivo?). Parla un importatore: «Ue immobile. Servono azioni urgenti». Diplomazia, operatori e giornalisti italiani e americani attivati. Istituzioni italiche ed europee non pervenute

inserito il 3 Gennaio 2020

Mentre spirano venti di guerra (quella drammaticamente vera) il presidente Donald Trump potrebbe inasprire il conflitto commerciale, decisamente meno drammatico, ma ugualmente aggressivo, con l’Unione Europea dando seguito alle promesse di aumento dei dazi sulle produzioni agricole made in Ue.
Rapido riassunto: Trump, fedele al motto “America first”, che gli vale molti consensi, voti e appoggi economici oltre che politici, sta di fatto perseguendo e proseguendo una politica protezionistica stufo del fatto che, forse per troppo tempo, certi partners abbiano, a suo dire, approfittato del buonismo anche commerciale di Obama.
E così ha deciso di punire la Ue per la questione degli aiuti giudicati non corretti al consorzio Airbus, competitor dell’americana Boeing, quella, per intenderci, che ha qualche problemino sul modello 737 Max.
Dunque dazi Usa su molte produzioni Ue tra cui l’agroalimentare.
Un primo “scappellotto” con tariffe dogali al 25%, gli Usa lo hanno dato tre mesi fa, ma solo per alcuni Paesi e prodotti. Ora, dato che pare che l’Unione Europea abbia continuato ad aiutare Airbus, ecco una bella “sberla” con la minaccia di aumentare i dazi fino al 100% a più Paesi e produzioni.
Sui social è scoppiato il finimondo.
Produttori sul piede di guerra (dietro la tastiera), operatori e consulenti che si sono trasformati in capipopolo (sempre dietro uno schermo di pc), campagne on-line per una raccolta firme da inviare alla Casa Bianca.
Tutto ottimo, tutto legittimo e degno di appoggio e nota, ma servirà a qualcosa? E le associazioni di categoria che fanno? Il Governo italiano, la ministra Bellanova? David Sassoli? La bella presidentessa Ue?
La Fivi, l’organizzazione di vignaioli indipendenti, ci dicono si sia attivata. E le altre? Si saranno attivate? E le Istituzioni, Regioni, Ministero, Governo, Unione Europea, si saranno mosse? O c’è bisogno che i vignaioli italiani facciano come i colleghi agricoltori francesi e scendano in piazza (Roma? Bruxelles?) per smuovere qualcosa? Ma che cosa poi?
Tra l’altro non solo gli italiani sono preoccupati. Negli Usa molti operatori “indigeni” hanno timori di ripercussioni pesanti per l’economia domestica che dipende dal mondo del vino. Ecco una rassegna di articoli autorevoli con appelli anche di grandi firme dell’eno-giornalismo statunitense: qui e qui.
In attesa di risposte – perché, giova ricordarlo, questo fanno e si fanno i giornalisti, domande a cui si spera corrispondano risposte – SdP ha fatto una cosa semplice: intervistare Stefano Pilone, un importatore italiano, astigiano che da molti anni opera sul mercato Usa con importanti brand piemontesi e italiani e che ha una profonda conoscenza del mercato e dei fatti Usa. Ne è uscita fuori una sorta di “finestra” su quello che sta accadendo in queste settimane, giorni, ore, che fa capire cosa non si è fatto, cosa si poteva fare e cosa si deve fare ora per almeno limitare i danni. Con la speranza che qualcuno si muova una buona volta senza aspettare la prima mossa della “locomotiva” tedesca che sembra ancora ferma in stazione a meno che, pensierino malizioso, Trump decida di punire anche le importazioni di auto europee, magari andando oltre la storiaccia “dieselgate”.
Buona visione.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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