il proclama della “Bagna caoda”

Ormai la natura di questo piatto principe della regione, vera bandiera dei Piemontesi, dopo tante ricerche e discussioni, è un mistero svelato.

La sua storia si può considerare un esempio di come e perché – nella notte dei tempi – nascono dalla vita vera della gente i piatti regionali.
Avevano bisogno, i vignaioli del tardo Medioevo, di un piatto straordinario e un po’ esotico per festeggiare insieme un evento per loro importantissimo, la spillatura del vino nuovo che segnava la messa al sicuro del raccolto più travagliato, più faticato e più insidiato, appunto il vino.
Pare che si volesse anche, con una certa polemica sociale, adottare e valorizzare un piatto festivo rustico e popolare, saporito e forte, da contrapporre agli snobbati e snervati arrostini glassati di zucchero e profumati di essenza di rose e di viole dei signori e dei grossi padroni (ma più probabilmente fu questo un emblematico confronto a posteriori).
Ecco allora, si scelse di appaiare due materie prime largamente locali e disponibili, come i buoni ortaggi della nostra terra e il prezioso aglio (prescritto dagli Statuti Medioevali e dai Bandi Campestri come coltura obbligatoria per ogni coltivatore proprietario), con l’acciuga salata in barili che cominciava ad arrivare capillarmente ad ogni borgo e ad ogni collina grazie all’epopea degli Acciugai ambulanti occitani della Val Maira; e ancora con un elemento quasi esotico e perfino costoso come l’olio d’oliva, scarsamente prodotto in Piemonte (che pure a quel tempo prima delle grandi variazioni climatiche aveva ulivi) per la maggior parte importato dalla vicina Liguria in cambio di grano, burro e formaggio che costi abbondavano.

Così la bagna càoda, che poco per volta, o ad un tratto, venne ad esistere con la combinazione delle ricordate materie prime locali e forestiere, ebbe e andò acquistando ancora queste caratteristiche: fu un piatto stagionale del freddo, perché il vino era fatto, al sicuro da ogni incidente, e poteva spillarsi, oltre un mese dopo la vendemmia, in una fredda mattina di primo inverno, col sole limpido e la brina sugli alberi spogli, giusto il tempo in cui inizia il riposo invernale del contadino (quindi, anche una sorta di festa delle vacanze che vengono!); il freddo inoltre, addirittura il gelo, era ed è un requisito necessario alla tenerezza perfetta delle verdure da intingere, specie dei cardi; fu un piatto corale, perché tutta la comunità festeggiava insieme la soddisfazione comune, infatti vi era un solo grande pentolone di rame stagnato sulla brace, contenente l’intingolo di olio, aglio e acciughe, e tutti quanti vi intingevano la verdura e il pane – grandi gressie dalla crosta dura, odorosa di frumento arrostito dal fuoco! – misti gli uomini nerboruti e cotti dal sole, le donne belle e gagliarde che li aiutavano condividendone le fatiche e i cimenti, bambini liberi e selvatici (non ancora ingabbiati dalla scuola e rimbambiti dalla TV) e vecchi rispettati e ancor utili (per i quali non c’era ancora il lager della Casa di Riposo!).
Fu infine, la bagna caoda, un piatto rituale, poiché il periodico ed atteso ripetersi della festa, insieme ad un più o meno consapevole senso di pagano ringraziamento alle forze della natura che i contadini istintivamente riconnettevano alla cerimonia (una delle tante manifestazioni di quella incompleta cristianizzazione delle campagne che connotò il nostro Medioevo rurale ed anche i secoli dopo) facilmente impregnarono di ritualità questo pranzo così singolare e “diverso”.
Sono tutti elementi che rendono la bagna caoda per i Piemontesi di oggi non solo un piatto “nostro”, robusto e goloso, un po’ barbaro e scatenato (resta ahimè non poco aglio nell’alito e attaccato ai panni), ma un’occasione unica di fraternizzazione e di allegria, un momento d’iniziazione per i giovani e per gli amici che non ci sono ancora passati.
Certo, anche oggi la bagna caoda non si può fare in solitudine, e nemmeno in pochi, mangiando distrattamente e compitamente.
Ci vuole una tavolata bella lunga, i tegamini di coccio con sotto la fiammella continua in cui intingere magari in due o in quattro allegramente, l’inizio al buio rischiarato solo dalle candele piantate sul collo delle nere bottiglie di Barbera, il primo “giro” di riempitura dei bicchieri fatto con il vino nuovo – che è ancora un mosto torbido, aspro, dolciastro e “inciuccante”, magari gradevole ma indigesto da non dire -, il trionfo di tutte le colorate verdure dell’inverno ammonticchiate sui tavoli insieme con grandi micche di pane e piatti di uova, in un pittoresco ordine disordine.

Ci piace ricordare che nell’ edizione 1989 della “Grande Bagna Caòda Annuale degli Acciugai e dei Buongustai del Piemonte” a cura dell’Accademia Italiana della Cucina e degli Acciugai d’Italia riuniti nella AVALMA (antica sigla, che significa “Associazione venditori acciughe della Val Maira”) – si presentò al pubblico con questa specie di meditato proclama, che trascriviamo (il soggetto è la bagna caoda):

“E’ per tutti quelli che la amano e la capiscono”
“E’ bandiera della cucina e del carattere piemontese”
“E’ onore e ricordo della civiltà contadina dei nostri padri vignaioli ”
“E’ il cibo rituale e corale della fraternità ed amicizia”
“E’ la ghiotta delizia del nostro gusto tradizionale”
“Non è piatto rozzo e pesante, anzi è naturale e sano ”
“L’aglio non fa male, al contrario è benefico”
“Non è l’odor d’aglio che rende scostante una persona intelligente e libera ma solo la sua stupidità e prevenzione”
“Infine l’alito va via con una bella passeggiata in campagna”.

E veniamo a dire come si fa oggi una corretta e buona bagna cauda, che non travisi e non tradisca quella originaria degli antichi vignaioli e soddisfi nel contempo il gusto di oggi, cercando di eliminare o contenere gli inconvenienti o meglio le “difficoltà” di un piatto sorto in circostanze ormai lontane dal nostro costume.

Ecco le regole:

1) le acciughe devono essere belle acciughe rosse di Spagna, stagionate almeno un anno, fresche e fragranti cioè appena tolte dalla salatura, pulite, lavate in acqua e vino, ben asciugate e diliscate, in ragione di almeno 2 o 3 acciughe a testa (5 o 6 fanno i hg);

2) l’aglio può essere ridotto ma giammai eliminato, poiché con esso scomparirebbe la bagna caòda! mentre gli “integralisti” ne prescrivono una “testa” per persona, come dire 10- 15 spicchi, abbiamo sperimentato che ne bastano 2 o 3 procapite, non bolliti nè nell’acqua nè nel latte, soltanto liberati dal germoglio, tagliati a fettine sottili, lasciati, se volete, qualche ora in una zuppiera di acqua fredda, meglio ancora in acqua corrente;

3) l’olio deve essere di oliva e buono, io preferisco quello extravergine, ma anche quello normale va bene, al bando però tutti gli oli di semi, e ne occorre non meno di mezzo bicchiere (da vino) per persona;

4) le verdure devono essere tutte quelle dell’habitat degli orti piemontesi, con l’esclusione di alcune inadatte perché troppo aromatiche (p. es.: il sedano, il finocchio, i ravanelli), ben pulite e inquartate: cardi gobbi di Nizza, in difetto cardi spadoni di Chieri, peperoni crudi, peperoni arrostiti e spellati, peperoni conservati sotto aceto e raspe, topinambur, cavoli verdi, bianchi e rossi, cuori bianchi di scarola e di indivia, porri freschi, cipollotti lunghi (questi si sogliono incidere a croce alla loro base e presentare a tavola a mazzetti di 3 o 4 immersi in un bicchiere di Barbera dal quale emergono per 4 dita, sono buoni anche solo mangiati gocciolanti di vino con un pizzico di sale), rape bianche, barbabietole rosse al forno, cavolfiori lessi, cuori di cavoli lessi, cipolle al forno, infine piatti di patate bianche bollite nella loro buccia, mele, fette di zucca arrostite o fritte, fette di polenta calda, arrostita o fritta, cestini di uova fresche da strapazzare nell’ultimo cucchiaio di bagna caòda che rimane nel tegamino di coccio;

5) la cottura, e questo è il punto decisivo per una bagna caòda buona, sana e digeribile, deve essere breve e tenuta sempre a calore basso: nel tegame grande di terraglia mettete tutto il vostro aglio affettato ed asciugato, con un mestolino soltanto di olio e un bel pezzo di burro, cuocetelo piano piano per almeno mezz’ora, sempre rimescolando l’aglio col cucchiaio di legno, badando bene che non scurisca; devono le fettine d’aglio ammorbidirsi e sciogliersi formando una crema omogenea bianca e soffice; a questo punto aggiungete tutto l’olio e tutte le acciughe e fate cuocere l’intingolo a basso calore solo quel tanto che le acciughe liquefino perfettamente, compenetrandosi con l’aglio per dar luogo ad una odorosa crema marrone chiaro: la bagna caoda è fatta, l’olio non deve avere mai fritto né scoppiettato. Durante il servizio a tavola, si aggiunge olio se occorre, allungando via via l’intingolo di aglio ed acciuga.

Che cosa bisogna mangiare oggi prima e dopo la bagna caòda?
Ricordiamo che è un piatto unico, completo, col quale si mangia molto pane. Allora, i Piemontesi saggi prima della bagna caòda si limitano a servire gustosi cacciatorini crudi di puro buon porco, tanto per “far la bocca” al primo bicchiere di giovane Barbera.
Se si vuol fare una bagna caòda proprio grandiosa, ai dischetti di salame si possono aggiungere tartine di aringa affumicata, tocchetti di merluzzo fritti bollenti e cubetti caldi di frittate ai porri ed agli spinaci (cose, insomma, tipo stuzzichini da aperitivo in piedi).

E dopo la bagna caòda?
Non il Grande Bollito Misto Piemontese, magari ridotto, ma sempre sciupato, perchè ha la natura di un piatto unico tale e quale come la bagna caòda; anzi, questo di servire un bollitino abbreviato è un errore corrente in Piemonte, da correggere.
Va sempre bene invece un tazzone di caldissimo brodo concentrato di manzo.
E se la gente vuole proprio ancora un piatto per “rifarsi la bocca” – piatto che i padri certo non mettevano – direi che non sia di carne: un intingolo di merluzzo o di anguilla al verde con un cucchiaio di polenta, o meglio un tazzone di zuppa di ceci o di fagioli o minestrone. Bene invece finire con un dolce piemontese casalingo come lo zabaglione, il bonét, la panna cotta.

Vino: un giro di Barbera nuovo, appena spillato e ancor mostoso, all’inizio, poi sempre buon Barbera di 1 anno o 2, alla fine l’immancabile coppa del nostro Moscato vergine Spumante d’Asti, ben gelato, odoroso di miele e di fiori.

“Bagna caoda” dell’arciprete

E’ una ghiotta variazione, ingentilita e arricchita, sul tema piemontesissimo della bagna caòda. Proviene dalle zone sud piemontesi, che guardano verso la Liguria.
ingredienti per 4 persone:
1 hg di aglio: si schiacciano gli spicchi, li si copre appena di latte, con poco burro, e li si cuoce piano sino ad ottenere una densa purea.
Il tegame sia di coccio e il cucchiaio di legno, è davvero importante.
Si aggiunge 1 hg abbondante di acciughe ben dissalate, ma non lavate né spinate: si passa poi tutto al setaccio.
Rimesso il passato nel tegame, si aggiungono 1 bicchiere di olio di oliva e 50 g. di burro, cuocendo il tutto ancora per 5 minuti, a fuoco moderato.
Dividete ora il composto in 4 tegamini di terraglia individuali (1 per persona) e sul fondo di questi deponete 4 belle fette di filetto; fate andare per pochi minuti a fuoco vivo, non tanto però che bruci (guai se l’aglio imbiondisce e se l’acciuga scurisce! E’ la rovina del piatto).
Aggiungete olio se necessario.
Portate in tavola i tegamini bollenti, con dentro affogata la carne, e fuori, disposti tutto attorno, gli assaggi delle verdure: per ciascuno, un mezzo cuore di cardo riccio, un boccone di peperone arrosto pelato e uno di peperone crudo, un mezzo cuore di scarola o d’indivia bianca, un pezzo di cavolo crudo, 2 fette di topinabò o rapa cruda o barbabietola, un tocco di porcino crudo, e ciò che vi è di stagione (escluse le verdure aromatiche, come il sedano e il finocchio).
Il pane sia di gressia casereccia, a grosse fette.

Questo “assaggio arricchito” di bagna calda, di succulenta cucina badiale, può suggerire ai nostri ristoranti il modo di offrire ai buongustai, come antipasto, un saggio o piccola degustazione o miniatura di quello che normalmente è un grandioso piatto unico.

“Bagna caoda” Madama Reale

Si dice – ma probabilmente non ne esiste un documento – che la famosa “Madama Reale” (Giovanna Battista di Savoia Nemours, seconda “Madama Reale”, reggente per Vittorio Amedeo Il dal 1675 al 1684) si fosse innamorata della bagna caòda dei contadini, e se ne fosse impossessata a Corte, per gli spuntini suoi e delle sue Dame, naturalmente trasfigurandola a suo talento e capriccio.
Ne sarebbe venuto fuori il piatto pomposo e barocco udite, udite! tutto fuori dallo spirito e dal significato della vera bagna calda, che ora vi diciamo.
La reale “Madama” si faceva preparare, in vasellami di porcellana antica, argento e cristallo, il poderoso intingolo di aglio, olio e acciughe e se lo faceva servire, dicono, nel ridotto o nel salotto del teatro, proprio dietro al palco ducale. Infliggeva l’odore aspro e contadinesco del gran piatto alle maggiori signore nobili di Torino e ai ministri di Stato, i quali naturalmente subivano e non battevano ciglio. Tuttavia questa tremenda donna ci diventa simpatica per il fatto solo che la bagna le piacesse.
Dopo le verdure e le uova e la polenta, cioè le cose dei piccoli sudditi, che venivano appena appena sfiorate di assaggi, i cuochi di Corte cominciavano a portare crocchette di carne e besciamella, offelle fritte di uova formaggi spezie e verdure, bocconcini disossati di preziosi augelletti arrosto, cubetti di filetto al burro con spezie, frattaglie padellate con vini ed essenze profumate e preziose irrorate di spezie, zucchero e zafferano, rossi gamberetti di fiume e via dicendo, il tutto doveva teoricamente essere bagnato nella bagna calda, che tosto però scompariva per lasciar luogo a raffinate salse barocche. Insomma la bagna calda dei contadini, sposata con le raffinatezze di Corte, durava fin che poteva poi… soffocava, sommersa da cibi eterogenei.
Qualche anno fa un buonissimo ristorante di Torino, tanto per venire incontro alla domanda deteriore di certi clienti che non sapendo mangiare chiedono non cose buone ma cose nuove, sempre nuove, a tutti i costi nuove, si mise a servire una interessante versione della “bagna caòda Madama Reale” nel senso di preparare e servire almeno le vivande di cucina nobile che possono un poco confacersi con la bagna calda. Insomma una curiosità, da provarsi una volta e da non ripetersi mai più!