Masterclass. «L’Albarossa ha vinto!» parola di Donato Lanati (Enosis). Storia di una degustazione di 20 vini ottenuti dalle uve di un vitigno “nato” nel 1938, ma modernissimo

inserito il 2 Ottobre 2020

«È successo un po’ di anni fa. Eravamo io, Piero Antinori e l’enologo Riccardo Cotarella. Avevamo assaggiato tutti i vini ottenuti dai vitigni coltivati nel Centro sperimentale vitivinicolo di Tenuta Cannona di Carpeneto, cui vicino. Tra tutte le degustazioni quell’Albarossa ci colpì e fu Antinori a dire: “Se ne può afre un grande vino!”. Qualche mese dopo io, Antinori e Banfi finanziammo il primo ettaro di Albarossa». Le parole sono di Michele Chiarlo, enologo e vignaiolo di lungo corso, al timone, con la moglie Giuseppina e i figli Stefano e Alberto, dell’azienda vitivinicola di Calamandrana (Asti) che porta il suo nome.

Michele, che si fa fatica a definirlo un “grande vecchio” del mondo del vino perché con la sua figura alta e britannica, l’auto che guida personalmente sulle strette strade collinari di mezzo Piemonte, dà punti a più giovani di lui, ha raccontato l’aneddoto con cui abbiamo aperto questa cronaca giovedì scorso a Cavatore, paese arrampicato sulle colline dell’Acquese che già sanno di Appennino ligure.
L’occasione è stata una sontuosa masterclass di Albarossa. In degustazione c’erano vini dal 2008 al 2017. Un peccato non esserci. SdP c’era.
L’evento è stato organizzato da Albarossa Club, associazione che raggruppa una ventina di produttori di questo singolare vino rosso nato dalla mente visionaria di un grande scienziato della viticoltura, Giovanni Dalmasso, che nel 1938 incrociò il vitigno barbera con lo chatus, il nebbiolo di Dronero.
Da allora l’Albarossa ha avuto traversie e momenti “no”, ha rischiato di cadere nel dimenticatoio, di estinguersi, fino alla degustazione con Chiarlo, Antinori e Cotarella. Da lì è ricominciata la sua risalita.

Ora c’è un “club” che ne difende l’originalità e il futuro (altre info qui) sotto l’ombrello del Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato che ha inserito l’Albarossa nella doc Piemonte.

Tornando alla masterclass di giovedì: location ottima nel ristorante Da Fausto (merita la visita qui) con vista su panorami monferrini da urlo e un ospite d’onore, l’enologo Donato Lanati, anima e cuore di Enosis, uno dei centri d’eccellenza per la ricerca in enologia e viticoltura che si trova a Fubine (Alessandria). Se volete saperne di più cliccate qui.

Lanati ha onorato l’Albarossa citando Luigi Veronelli, il grande giornalista che inventò il giornalismo del vino. «Lui – ha detto – avrebbe concluso questa degustazione esclamando che l’Albarossa ha vinto e io non posso che essere d’accordo: l’Albarossa ha vinto!». Poi, in un breve, ma intenso intervento, quasi una mini lectio magistralis, Lanati ha fatto una disanima della situazione del vino in Italia: «Dobbiamo essere coscienti – ha detto – che ci sono due aspetti che servono al nostro vino per vincere le sfide di domani: originalità e longevità e per averle bisogna dare spazio alla ricerca, alla scienza. In altri Paesi, come la Francia, questo si fa da tempo. In Italia ancora non abbastanza».

Nel suo intervento, Alberto Chiarlo, presidente dell’Albarossa Club, ha auspicato che la presentazione delle annate di Albarossa, a giornalisti e operatori della ristorazione, debba diventare un appuntamento fisso, «per arrivare al risultato che nei locali, piemonteis e non, ci sia una pagina di vini Albarossa» ha detto.

In questo senso una promessa di supporto è giunta dall’assessore regionale all’Agricoltura e Cibo, Marco Protopapa: «Come Regione siamo attenti e sensibili alla tutela e promozione delle agroeccellenze piemontesi che sono un patrimonio e un giacimento enormi della nostra terra».

Infine un accenno personalissimo alla degustazione dei vini, una ventina, assaggiati con l’organizzazione di Pier Ottavio Daniele di Slow Food e consulente dell’Albarossa Club: negli anni l’Albarossa conferma di essere un rosso di carattere e, nonostante questo, anche amichevole e non difficile da avvicinare. Ha una bevibilità spiccata, che non decade con l’affinamento che, tuttavia, ne cambia, sempre gradevolmente, alcune caratteristiche, come i profumi che nelle annate “giovani” sanno di frutta e in quelle più affinate di spezie.
Per enologi e degustatori professionisti è l’iter “normale” di un grande vino. Non è poco. L’Albarossa ha davvero vinto.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero,it)

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