Miele. La Regione, con fondi Ue, sostiene l’apicoltura piemontese. Ma l’incognita è il futuro

inserito il 4 Agosto 2015

Settecentomila euro per l’apicoltura piemontese. I fondi, come ha spiegato a SdP Roberto Barbero, tecnico alessandrino di Aspromiele, arrivano dalla Ue e sono gestiti dalla Regione Piemonte. «Serviranno – dice – per il settore tecnico e per la promozione e divulgazione». Annota l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero: «Sosteniamo un settore che, nonostante negli ultimi anni si siano riscontrate anche nel nostro territorio morie sopra la media, ha incrementato il suo peso nell’economia agricola piemontese.

Ecco, il settore. Che cosa significa in Piemonte allevare api e produrre miele? Intanto i numeri: il Piemonte, con 4.035 aziende che allevano 165.863 alveari, è la prima regione italiana in termini di importanza del settore apistico. Barbero conferma: «Il 2014 è stato un anno disastroso. Il 2015 sta andando bene. Le aziende apistiche avranno una boccata di ossigeno. La raccolta sta andando nella norma e le prospettive sono per un buon raccolto».

I timori sono legati alla coabitazione tra api e un’agricoltura piemontese che sempre di più deve fare i conti con fitopatologie che implicano l’uso di fitofarmaci, non sempre tollerati dalle api. «Vigneto e nocciolo sono le due coltivazioni principali piemontesi che mettono in serio pericolo la coabitazioni con le api – dice Barbero — negli ultimi tempi – aggiunge – i noccioleti hanno superato i vigneti nella conta degli avvelenamenti di api per trattamenti dati alle colture. Il nodo da sciogliere – precisa il tecnico di Aspromiele – è l’uso corretto dei fitofarmaci e la corretta conduzione agricola della coltura».

Detto questo l’apicoltura piemontese è un settore che resiste alla crisi, anche con alcune discrepanze di prezzo per alcune tipologie di miele venduto all’ingrosso anche a 7 euro al chilo che diventano 10 al dettaglio, magari da parte di piccoli produttori. In questo senso una modulazione dei prezzi, sul modello del vino, sarebbe auspicabile. Per quanto riguarda il lato remunerativo c’è da annotare che aziende con 500 alveari reggono il mercato e consentono un reddito dignitoso agli imprenditori agricoli che puntano su questo settore. Il comparto si sta svecchiando e sempre più giovani si dedicano a questa attività che può dare molte soddisfazioni, anche se l’Italia non è tra i più forti produttori di miele e importa dall’estero il 40% del prodotto richiesto. «Che in molti casi – avverte Barbero – è una miscela di succedanei del miele». Ma che cosa deve fare, dunque, il consumatore italiano per essere certo di acquistare un prodotto nazionale e genuino in mancanza di marchi e indicazioni di tutela? «Leggere bene l’etichetta o affidarsi all’acquisto diretto dal produttore o cooperative che garantiscono genuinità e italianità del prodotto» dice il tecnico di Aspromiele.

Insomma siamo alle solite: per essere sicuri di acquistare agroalimentare “made in Italy” bisogna stare con gli occhi aperti e documentarsi. Anche se si è in Italia.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)  – foto di copertina tratta da: http://www.mieliditalia.it/

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