Moscato. Intervista esclusiva a Dino Scanavino (Cia): «Basta eno-monopoli. Strategico allargare la zona di produzione. Altrimenti perdiamo»

inserito il 16 Gennaio 2016

160115vinchioUBE14

«Basta con gli eno-monopoli. Sì alle aperture alla valorizzazione e promozione delle nostre eccellenze. Così si affrontano le sfide future dei mercati. Altrimenti perdiamo». Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia (agricoltori), astigiano doc di Calamandrana, centro agricolo tra Nizza Monferrato e Canelli, viticoltore egli stesso e con alle spalle un lungo curriculum ai vertici dell’associazione agrosindacale, non le manda a dire al mondo del vino piemontese e sceglie la presentazione di un progetto di rilancio sulla Barbera per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. SdP lo ha intervistato in esclusiva.

Presidente Scanavino, che cosa intende quando parla di aperture nel mondo del vino?

«Quello che ho detto. I piemontesi si stanno chiudendo. Con la difesa dei monopoli non si va da nessuna parte. Il moscato è un esempio eclatante».

Ecco, parliamo di moscato…

«Bisogna abbandonare il concetto di monopolio e cominciare a ragionare sul coinvolgimento di nuovi attori sulla scena di una filiera che ha bisogno di aperture non di chiusure».

Cioè? Guardi che con la questione Zonin in ballo (il gruppo veneto vuole inserire i suoi 22 ettari di moscato di Portacomaro-Asti nella zona di produzione e la querelle è oggetto di lite giudiziaria da anni) la bolleranno come filo industriale…

«A me a me interessa esclusivamente il futuro di una filiera che è strategica per il Piemonte e per l’Italia. Il cui rilancio può ripartire solo dalle aperture a nuovi attori, nuovi protagonisti su una scena che sta diventando sempre più statica e asfittica»

Però aumentare i volumi, allargare la zona di produzione e imbottigliamento, non vorrà dire aumentare a dismisura eccedenze e scorte che oggi sembrano già troppo alte?

«Eccedenze? A me risulta che ci siano aziende medio-piccole a caccia di moscato piemontese che non riescono a reperire sul mercato e quindi sono costrette a ricorrere ad altre tipologie. Qualcuna, mi dicono, è stata persino costretta a ripiegare su Moscati non italiani. Le sembra che manchi il moscato dalle nostre parti? Se le cose stanno così io dico che è meglio che guardiamo in faccia la realtà: nel mondo c’è richiesta di moscato, molta richiesta. Noi possiamo e dobbiamo fornirlo. La strada è quella di aumentare volumi, area di produzione, numero delle imprese coinvolte, promuovere le nostre agro-eccellenze nel mondo e spiegare che i nostri vini con i nostri paesaggi e le nostre tradizioni e innovazioni sono uniche al mondo. Così si vince».

Si, ma la qualità? Uno dei cavalli di battaglia di chi sostiene la tesi della blindatura della zona del moscato docg è che allargandola non ci sarebbe più tutela sulla qualità con crollo di prezzi delle uve e reddito agricolo. Lei cosa risponde?

«Che non ne sono così sicuro. Vogliamo guardare a quelli che fanno meglio. Il Prosecco ha aumentato del 40% le vendite. E noi piemontesi ne sappiamo qualcosa che perché fino a qualche anno fa imbottigliavamo il 30% della produzione e oggi siamo ancora tra i protagonisti di quella filiera. Crediamo davvero che le bollicine non siano di qualità? Io qualche domanda me la sono posta e di risposte me ne sono date. Il mondo del vino piemontese deve guardare avanti, rinnovarsi, svilupparsi. Altrimenti perde terreno l’intera filiera. E non possiamo permettercelo».

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

Lascia un Commento


I commenti inviati non verranno pubblicati automaticamente sul sito, saranno moderati dalla redazione.
L’utente concorda inoltre di non inviare messaggi abusivi, diffamatori, minatori o qualunque altro materiale che possa violare le leggi in vigore.
L’utente concorda che la redazione ha il diritto di rimuovere, modificare o chiudere ogni argomento ogni volta che lo ritengano necessario.