Nasce la consulta nazionale del vino italiano. Ne sentivamo davvero il bisogno?

inserito il 7 Maggio 2015

In Italia ci sono gli enti inutili e anche gli enti di cui non si sentirebbe il bisogno ma esistono. Inspiegabilmente. I primi servono soltanto a dare stipendi, preferibilmente lauti ad amici e amici degli amici. I secondi, nella migliore delle ipotesi, fanno acquistare visibilità a chi ne ha bisogno per andare a finire sui media o per fare carriera in altri ambiti.

È il caso, a nostro modestissimo e discutibile avviso, della Consulta Nazionale del Vino Italiano, che già nel titolo suscita qualche perplessità: ma se è nazionale e siamo in Italia è ovvio che si tratti del vino italiano, sarebbe una roba ben curiosa fare una consulta nazionale (cioè italiana) del vino, per esempio, ungherese. Ma dubbi linguistici a parte è proprio lo scopo della Consulta che fa sobbalzare. Leggiamo del ridondante comunicato stampa che: «Il primo punto su cui si concentrerà il lavoro della Consulta sarà l’introduzione di una appropriata istruzione sulla vite e sul vino, sullo stile di alimentazione mediterraneo, in cui fondamentale è l’abbinamento cibo-vino, e sul valore del territorio vinicolo italiano, della sua storia e della sua gastronomia già nel percorso scolastico, come avviene in altri Paesi dell’Unione Europea». Però! In tutti questi anni possibile che Ministero, Regioni, Province, Comuni, Consorzi di tutela, associazioni di produttori vinicoli e di categoria, nutrizionisti, Bruno Vespa e il suo Porta a Porta, Antonella Clerici e i suoi cuochi, i vari Master Chef (tarocchi e no), enti turistici e, non ultimi, gruppi vinicoli privati e produttori singoli (griffe e no), non abbiamo pensato a come promuovere il vino e il buon cibo italiano?

E l’Expo? E Tuttofood? E Vinitaly? E le varie fiere e fierette, salon e saloncini in giro per l’Italia? E Oscar Farinetti con il suo colosso del cibo fighetto Eataly? E il Carlin Petrini con la corazzata Slow Fodd che da anni ci rompe i maroni su vini e cibi italici (e non)? E il Paolino Massobrio con il suo Papillon che scorrazza per l’Italia predicando di cantine e chef? E il grande (senza alcuna ironia) Edoardo Raspelli, che sta al cibo e alla tv come Raffaella Carrà al vasetto di fagioli e alle carrambate, vero sacerdote del Belpaese rurale e godereccio? E il Patrizio Roversi in versione Linea Verde che con il “ah beh beh” bolognese fa la stessa roba dell’Edo? Tutti a casa. Ora c’è la Consulta Nazionale del Vino Italiano composta, lo diciamo per cronaca, da: Onav, Agivi, Ais, Aspi, Associazione Nazionale Le Donne del Vino, Movimento Turismo del Vino, Fisar, Fivi e SlowFood (guarda il caso). Ma come? Proprio quelli che dovrebbero valorizzare la cultura del vino e del cibo italiano si mettono insieme per fare la stessa cosa? Ma allora prima che ca…pperi hanno fatto? E minacciano pure: «…La Consulta è aperta a nuove adesioni da parte di Associazioni ed Istituzioni e già in un futuro prossimo si prevede l’ampliamento dei partecipanti con alcune altre importanti presenze».

Ma non sarebbe il caso di evitare inutili assembramenti e fare quello che si deve fare. Forse è troppo semplice e poco visibile?

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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