Reportage. La vendemmia meccanizzata del Brachetto docg in crisi. Ma Ricagno (Consorzio) ci crede: «Riconquisteremo i mercati» dice e parla anche di Acqui Dry. Basterà?

inserito il 8 Settembre 2016

160907ricagnoUBE011 Non è facile parlare in modo positivo del Brachetto d’Acqui docg, uno dei vini dolci italiani più apprezzati che, in questi ultimi anni, dopo annate stellari anche da un punto di vista economico, sta attraversando una crisi feroce che ne ha decurtato drasticamente le rese per ettaro, oggi crollate a 36 quintali (docg nella versione spumante e tappo raso) e 43 per il doc. Conseguente il taglio del reddito agricolo che ha fatto e fa gridare non poco i vignaioli. Per alcuni la crisi va ricercata nei contraccolpi della recessione economica globale che ha tagliato i consumi su tutti i mercati; per altri nella politica giudicata poco avveduta fatta dal Consorzio di Tutela di cui da anni è presidente Paolo Ricagno, egli stesso produttore (ha 300 ettari di varie tipologie, brachetto, moscato e barbera su tutte) anche presidente della Cantina sociale Vecchia Alice e Sessame. Come non chiedere, dunque, proprio a Ricagno del futuro di una denominazione che il mondo ci invidia (da qualche anno, con buona pace della Ue, il vitigno brachetto di coltiva e vinifica anche in Australia, per dire), ma che non riesce ad avere quella valorizzazione che meriterebbe, anche dal punto di vista economico. L’incontro con il presidente del Consorzio avviene nelle vigne tra Alice e Fontanile, nel cuore della zona del Brachetto docg. Con una curiosità che SdP per primo documenta: la vendemmia meccanizzata che riduce sensibilmente il tempo ed evita l’uso di manodopera tra i filari. Sarà meno romantico, ma metterebbe al riparo da tutti una serie di problemi, primo fra tutti la storiaccia dello sfruttamento dei vendemmiatori stranieri che l’anno scorso (e speriamo che quest’anno non si ripeta) ha messo sotto i riflettori dei media nazionali e internazionali zone vocatissime alla produzione vinicola, come il Cuneese e l’Astigiano, ponendo inquietanti domande sull’eticità della raccolta. Le macchine, come spesso accade dalla Rivoluzione Indutriale in qua, agevolano, aiutano, eliminano problemi, forse ne causano altri, ma biogna mettere tutto su una bilancia e verificare. Ricagno lo ha già fatto ed è felice proprietario di tre vendemmiatrici meccaniche. Bisogna dire che vederle in azione, anche su pendenze vicine al 30%, è davvero spettacolare. Nel momento del reportage le macchine erano alle prese con filari di moscato. Gli acini vengono riscucchiati con delicatezza e restano per la maggior parte interi. Sulla vite restano solo i raspi. In una giornata di lavoro (misura temporale non agricola) la vendemmiatrice meccanica raccoglie l’uva di 5 ettari di vigneto. Mica male. Ma basterà la meccanizzazione per risolvere i problemi del Brachetto docg, il vino che la leggenda assicura fosse amato anche da Cleopatra a cui fu donato dai suoi amanti Cesare e Antonio? Beh, forse no, bisogna fare anche altro. Cosa lo spiega nella nostra videointervista Paolo Ricagno che annuncia la nascita dell’Acqui Dry docg, versione non dolce del Brachetto d’Acqui docg sulla linea di quello che stanno facendo anche i produttori di Asti docg, e non risparmia analisi anche sul vino piemontese in generale nel quadro di una regione che sta tentando di cambiare il suo modo di porsi quale patria del vino italiano. Un compito non da poco dopo anni di immobilismo. Questo lo ribadisce anche Ricagno. Buona visione.

SdP 

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