Vinitaly 2015. Il vino piemontese tra voglia di fare e disillusione. E intanto il padiglione Piemonte dimentica il riconoscimento Unesco

inserito il 25 Marzo 2015

24 aprile 2015 Verona VINITALY - fotografia di Vittorio Ubertne

Ci siamo ricascati. Anche quest’anno trasferta a Verona per seguire quel “circo Barnum” che si chiama Vinitaly. Anche l’anno scorso, come gli anni passati, ci eravamo riproposti: «Ora basta! È l’ultima edizione». Poi i sentimenti e qualche produttore che ci ha detto: «Se non ci seguite voi sul web non ci segue nessuno» hanno aperto una breccia.Okkei. Però niente convegni, niente kermesse e passerelle con ministri, onorevoli, presidentissimi e eno-star. E così è stato. Solo stand di produttori che conosciamo. Un paio di novità, appena. E uno sguardo di insieme per capire dove vuole andare a parare il vino piemontese. Qualcuno già parla di ottimismo (no, non è Farinetti, per una volta), di vento cambiato (no, non è Renzi). Noi, per la verità abbiamo trovato tanta voglia di fare, certo, ma anche tanta disillusione. Che non è che vada male. Mette al riparto dalle cocenti delusioni. Però smorza un po’ l’entusiasmo. C’è da sperare non troppo, il giusto per non prendere musate.

Capitolo consorzi. Presenti quasi tutti. Ma con modalità diverse. Qualcuno in stile Morettiano (Nanni, il regista di Ecce Bombo e Il Caimano), della serie: «Mi si nota di più se vado, o se non vado». Ecco, magari qualcuno dovrebbe spiegare a certi direttori che andare al Vinitaly a fare le nozze con i fichi secchi, dopo anni di scialo, non è che sia una bella immagine. Almeno una via di mezzo andava trovata.

I produttori, si diceva. Bene i ragazzi, quelli giovani, che hanno voglia di fare. Anche se fanno parte della 19ª generazione. Una roba che fa ben sperare. Bene i quasi ex ragazzi, quelli che si sono rotti le palle di essere considerati sempre troppo giovani dai soliti tromboni che hanno la verità in tasca. È ora di tirar fuori gli… acini. Bene le donne, che, come al solito, al netto delle rampanti simil-uomini, dicono la loro meglio dei maschietti.

Padiglione Piemonte. Un po’ lasciato a sé stesso. Niente attrattiva, niente appeal. E pensare che la recente attribuzione di sito Unesco ai paesaggi vitivinicoli piemontesi sarebbe stato un bello spunto da sfruttare. Graficamente, visivamente, con eventi, performance. Magari tutti gli stand dei produttori piemontesi avrebbero potuto essere dotati se non del marchio (il cui uso è regolamentato) almeno di una dicitura evidente “Le nostre vigne sono patrimonio dell’Umanità”. Invece nulla. Forse Expo ha oscurato troppo. Anche certe menti operose. Occasione persa. Peccato.

E ora? Beh, bisogna aspettare almeno 6 mesi per vedere l’effetto che fa Vinitaly. Il vino è uno dei pochi comparti che sta tenendo. Non sciupiamolo. Il Governo ci sta mettendo del suo per farlo (Imu, controlli vessatori, leggi assurde), ma forse qualche ripensamento c’è con il testo unico che promette di snellire, agevolare, favorire il comparto enologico italico. Basta che non sia la solita promessa della politica italiana, che fa finta di dare con una mano e prende dall’altra. Staremo a vedere.

Intanto se n’è andato il Vinitaly pre Expo. Speriamo che quello del 2016 non sia quello post Expo. Perché francamente quest’Expo ha rotto…

Intanto, qui di seguito, le interviste di SdP. Buona visione

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

Le interviste


2 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 26 Marzo 2015 at 08:38 -

    di vino, Gianlu, di vino…

  2. Gianluca Morino 26 Marzo 2015 at 02:25 -

    Non avevi scritto intervista ai produttori?

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