Vino. La Ue mette a rischio le denominazioni legate ai vitigni? L’allarme degli europarlamentari italiani. Collegamenti con il caso “Asti”? Intanto in Australia…

inserito il 19 Novembre 2015

11220886_10206580561104275_4017579145101686628_nQualche settimana fa, sulla sua pagina Facebook, Raffella Bologna, contitolare della Cantina Braida di Rocchetta Tanaro, ha denunciato il plagio dell’etichetta del suo Brachetto d’Acqui da parte di un produttore australiano. Il link alla pagina Fb qui, e qui a fianco la denuncia di Raffaella. Non è la prima volta. SdP ha più volte denunciato la falsificazione di vini italiani all’estero (Ucraina, Brasile, Russia) con etichette che riprendono grandi marchi italiani del mondo vinicolo. In questo caso, facendo una rapida ricerca sul web, sono venute fuori diverse etichette di vini australiani che riprendono tipologie vinicole e vitigni italiani come il Brachetto, che qualche azienda produce in modalità rosè, il Prosecco, la Barbera, il Sagrantino, il Sangiovese e il Friulano. Non si capisce bene se questi vini siano acquistati in Italia e rivenduto in territorio australiano o prevengano da vitigni coltivati e vendemmiati in Australia. Sul Brachetto si sta muovendo il Consorzio che avrebbe inviato lettere di chiarimenti e di intervento a parlamentari e europarlamentari italiani. Basterà?

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Paolo De Castro

Intanto, proprio a questo proposito, Paolo De Castro, europarlamentrare, ex ministro all’Agricoltura e commissario italiano alla Ue ha lanciato un appello a difesa proprio delle denominazioni vinicole italiane. Ha detto de Castro all’Ansa: «Tutti i vini che prendono il nome dal vitigno, come Lambrusco, Vermentino, in parte anche il Sangiovese (e, aggiungiamo noi, anche Moscato e Brachetto ndr) rischiano di essere tolti dalla lista dei vini protetti nell’Ue in quanto la Commissione europea vorrebbe sostanzialmente liberalizzarli». L’Esecutivo Ue, infatti, sosterrebbe la tesi secondo la quale una cosa é proteggere un nome con un riferimento geografico, si fa l’esempio del Prosecco per il quale nella zona di produzione tutelata e indicata dal disciplinare c’è il comune di Prosecco, mentre diventa difficile applicare questa difesa quando non c’è un riferimento geografico, ma il solo nome del vitigno.

Herbert Dorfmann

Herbert Dorfmann

De Castro ha annunciato opposizione a questo approccio. «Ma non tutti la pensano come noi tra i Paesi produttori di vino europei» ha avvertito il commissario italiano. E un suo collega, Herbert Dormann della Südtiroler Volkspartei, in merito alla protezione delle denominazioni e ai rischi che corrono i vini il cui nome é legato al solo vitigno, ha sostenuto: «Dobbiamo essere coscienti del fatto che il nome del vitigno di per sé non é tutelabile in quanto non si può vietare a qualcuno nell’Ue di coltivare Lambrusco. Noi dobbiamo puntare sulla protezione delle denominazioni geografiche tutelabili». Si, ma quali sono? Si tratta come che sia di dichiarazioni che dovrebbero far rizzare i capelli in testa ad alcuni presidenti e direttori di Consorzi che hanno a cuore il futuro delle loro denominazioni. Il caso più eclatante del Piemonte è quello dell’Asti docg, ancora invischiato nella querelle della comprensione o meno della città di Asti nella zona di produzione. Un fattaccio che si trascina da anni, tra carte bollate e udienze e che rischia di andare davanti al tribunale europeo il quale, nonostante le assicurazioni di contrari e favorevoli e le varie sentenze da parte dei giudici italiani (l’ultima del Consiglio di Stato ha detto no, in modo definitivo all’Asti di Asti), non si sa proprio come potrebbe scegliere davanti ad una questione del genere.

Intanto altri timori per il mondo del vino italiano e piemontese arrivano per gli accordi bilaterali in cui vengono aboliti i dazi sui vini a scapito dei prodotti Ue. È il caso del vino australiano e cileno che possono entrare in Cina a dazio zero proprio grazie ad accordi presi a livello governativo. Significativo l’episodio raccontato a SdP dal commerciale di una casa vinicola piemontese che ha partecipato ad un tasting nel Sud Est asiatico. «Quando ho stappato il nostro Moscato d’Asti – ha detto il manager -, i miei ospiti si sono stupiti. Prima mi hanno chiesto se anche in Italia si produce Moscato, poi se anche in Piemonte lo si fa. Quindi ho scoperto che in quella zona del mondo vende oltre un milione di bottiglie di Moscato una ditta australiana. Il nostro è più buono, me lo hanno confermato, ma è sconosciuto».

SdP


1 Commento Aggiungi un tuo commento.

  1. Mahee Ferlini 23 Novembre 2015 at 04:44 -

    Grazie per questo articolo molto interessante!

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