Lo aveva detto a SdP settimane fa Andrea Faccio, presidente nazionale di Confagricoltura Vino (leggi qui).
Ieri lo ha ribadito Ezio Pelissetti, grande guru di Valoritalia, società di certificazione a livello regionale: tra i vini piemontesi quello che galoppa è il Barolo, tra gli altri vini qualcuno corricchia, altri camminano a passo più o meno svelto, ma c’è anche chi arranca.
I numeri, forniti e commentati con dovizia di particolari e indicazioni da Pelissetti, li potete trovare in coda a questa cronaca. Per il resto l’appuntamento della Vignaioli Piemontesi, con padroni di casa il presidente Giulio Porzio e il direttore Gianluigi Biestro, è stato un po’ come un festa di fine anno alle superiori con il primo della classe (il Barolo) a “tirarsela un po’” (ci sta, eccome se ci sta!) e gli altri a cercare di non sfigurare chi con una buona media, chi sfangando la sufficienza per passare l’esame.
Schierati i presidenti dei Consorzi di Tutela (assente solo l’Alta Langa per impegni romani) noi li abbiamo intervistati quasi tutti.
Qui potete vedere le videointerviste fatte con la collaborazione del nostro Vittorio Ubertone.
Non in video Luca Balbiano, del consorzio Freisa di Chieri, che ha annunciato non meglio specificati festeggiamenti per i 500 anni di un vino che meriterebbe molta più considerazione in primis dai piemontesi, e Francesco Monchiero (Roero) che ha parlato di Arneis, Nebbiolo e Barbera sotto l’occhio vigile di Orlando Pecchenino, presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco e tutti gli altri vini di Langa.
Gli spunti: essenzialmente quelli esposti da Pelissetti: il vino piemontese va, ma potrebbe andare di più. L’ex direttore del Consorzio dell’Asti non lo ha detto esplicitamente, ma ancora una volta i piemontesi dovrebbe comprendere che fare squadra è il primo comandamento per conquistare il mondo globalizzato.
Lo ha detto forte e chiaro anche l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero: «Nessuno creda di farcela da solo. Oggi più che mai la collaborazione tra tutti è indispensabile per affrontare sfide impegnative in mercati sempre più competitivi».
Parole dette più volte e da anni. Lo stesso Ferrero lo ha ammesso presentando altri numeri di un settore sano «punta avanzata dell’agricoltura piemontese che si dimostra una realtà solida e vitale» caratterizzato da fenomeni di rinnovamento, innovazione e di ricambio generazionale, soprattutto con l’inserimento di migliaia di giovani agricoltori e una crescita della componente femminile: «Sono 22 mila le aziende agricole condotte da donne; un terzo dei 64 mila occupati in agricoltura sono donne».
Ok, tutto molto interessante, ma resta il fatto che spesso i piemontesi del vino operino per comparti stagni.
Di tentativi di concertazione, a onor del vero, ce ne sono stati e ce ne sono. Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio dell’Asti, ha ricordato di essere anche a capo di Piemonte Land of Perfection, il superconsorzio che coordina le attività promozionale dei consorzi vitivinicoli piemontesi, ma che, per la verità, non incide più di tanto sulle politiche consortili che sono quanto mai legate a scelte personali di direttori, presidenti e vari cda, quando non inquinate da personalismi e ruggini varie.
È così che il mondo del vino pensa di rivaleggiare con francesi, americani e tante altre realtà emergenti italiane e non?
Il presidente Porzio a questo proposito ha citato un’indagine Ismea sui punti di debolezza dell’export del vino presentata qualche giorno fa che parla di “Elevata frammentazione degli operatori, incapacità di fare sistema, scarse alleanze produttive e commerciali con aziende estere, difficoltà della UE a concludere accordi di libero scambio, posizionamento dei vini italiani all’estero non sempre adeguato con eccessiva competizione sul prezzo, difficoltà a comunicare efficacemente la grande diversità e varietà del vino Italiano con vitigni, territori, denominazioni, uno sviluppo più intenso delle esportazioni avrebbe bisogno di più “protagonisti”. E conclude con un sintetico “L’Italia vince le sfide della competizione internazionale quando riesce a fare sistema, a innovare nella qualità e a comunicare la diversità”. Tombola!
Non è mancato un richiamo al biologico e alla sostenibilità in vigna. Lo ha fatto in modo inequivocabile il “solito” Pelissetti con riferimenti espliciti non solo alla tutela del paesaggio e della salute, ma anche pragmaticamente alla convenienza economica. «Ormai cono sono realtà italiane che sono a oltre il 90% bio, come il Franciacorta – ha detto Pelissetti -. Una scelta commerciale verso un mercato che ha crescita a doppia cifra. Il Piemonte del vino ci pensi in fretta. I consumatori sono sempre più indirizzati verso prodotti biologici».
Messaggio partito, sarà compreso?
Infine una riflessione: ieri alla Vignaioli c’erano i rappresentanti di tante cantine sociali. È stato detto che il 30% della produzione vitivinicola in Piemonte arriva dal mondo della cooperazione: cioè un bottiglia su tre”. Tra le 40 cantine cooperative piemontesi con 8.400 soci, 37 sono associate e rappresentate da Vignaioli Piemontesi con 6.242 aziende vitivinicole.
A conferenza finita molti operatori si sono trovati per un aperitivo-degustazione a base di ottimi vini e agnolotti di Langa. Tra i tavoli, ovviamente si è parlato del futuro. E c’è stato chi si è chiesto se sia davvero così conveniente che in Piemonte ci siano tante piccole cantine, soprattutto nella cooperazione? In altre aree d’Italia gli enopoli contano migliaia di soci con estensioni importanti. In Piemonte quando va bene si parla di alcune centinaia di associati.
Qualcuno ha ipotizzato che si cominci ad aggregare le cantine cooperative superando campanilismi e orticelli di potere. La Regione potrebbe fare da catalizzatore. Non è questo uno dei compiti della politica?
Certo sono state parole in libertà tra un calice di Gavi e uno di Barbera, ma siamo convinti che meritino almeno una riflessione.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Qui l’analisi di Valoritalia: anteprima vendemmia_slide_Valoritalia