Sette anni sono un tempo relativamente breve o relativamente lungo. Dipende dai punti di vista. Per il Consorzio di Tutela dell’Asti e del Moscato e il mondo del moscato piemontese, il periodo tra il 2011 e il 2018 ha segnato eventi e cambiamenti epocali.
Il 2011
Tutto comincia nel 2011 con l’assunzione di un nuovo direttore. Si chiama Giorgio Bosticco, è albese, è enologo, da più di dieci anni è manager alla Campari. Diventa direttore in un momento perfetto. La denominazione tira e vola oltre i 100 milioni di bottiglie tra Asti e Moscato. Viene assunto con la benedizione del presidente consortile di allora, Paolo Ricagno, dirigente di lungo corso tra i Consorzi di Asti e Brachetto, e del suo vice, Gianni Marzagalli anche lui in quota Campari.
L’era Margazalli
L’anno dopo si va alle elezioni per la presidenza del Consorzio. Circolano indiscrezioni. Si parla di un accordo tra Ricagno e Marzagalli che avrebbe previsto un ticket tra i due alla presidenza. Tradotto: Marzagalli avrebbe fatto il presidente con Ricagno vice e Bosticco direttore. A mandato terminato le parti si sarebbero invertite.
Invece, ammesso e non concesso che questo accordo ci sia stato veramente, succede che alle elezioni per la presidenza del Consorzio, Marzagalli è eletto presidente, come da previsioni, mentre Ricagno è estromesso non solo dalla vicepresidenza, ma addirittura dal Cda.
Sembra, ma anche queste sono voci, che sulla sua defenestrazione abbiano pesato pressioni non si sa se di alcune industrie o alcuni sindacati o entrambi.
Fatto sta che Paolo Ricagno è fuori dalla stanza dei bottoni dopo più di quarant’anni di impegno da protagonista all’interno dalla filiera. L’ex presidente se ne va sbattendo la porta.
Inizia l’era Marzagalli. L’ex manager Campari, all’età di 72 anni, comincia la conduzione di una presidenza che si protrarrà, a causa delle modifiche al regolamento del Consorzio, per due anni oltre i tre canonici, cinque anni in totale, segnando lo stile consortile.
Martini & Rossi, Gancia, Fontanafredda e l’erga omnes
Intanto il Consorzio mette a segno alcune operazioni che ne decretano il consolidamento attraverso l’erga omnes, la regola, cioè, che prevede, qualora il Consorzio abbia associata la maggioranza dei produttori della denominazione, il rispetto delle disposizioni emanate dall’ente anche da parte di chi non è iscritto. Si arriva a questo risultato anche con il rientro nel Consorzio di Martini & Rossi, Gancia, Fontafredda. uscite in polemica con le strategie consortili sotto la presidenza Ricagno.
Ad onor del vero altre Cantine minori erano rientrate nel Consorzio anche durante la presidenza Ricagno.
La crisi
Ma se i soci del Consorzio aumentano le bottiglie vendute diminuiscono.
Dagli oltre 100 milioni del 2011 si passa agli 88 del 2017. Diminuiscono anche le rese per ettaro con il reddito dei viticoltori che non si muove dai circa 10 mila euro ad ettaro.
C’è chi dà la colpa alla crisi economica mondiale e alla recessione, altri ritengono che la responsabilità sia nella insufficiente strategia di comunicazione dell’intero comparto.
Fatto sta che l’Asti Spumante dolce vende meno, mentre il Moscato “tappo raso” aumenta e tiene botta.
Il 2017
Nel 2017 si torna alla elezioni per la presidenza consortile. Paolo Ricagno, che è stato presidente e vice presidente del Consorzio dell’Asti per diversi anni, è ancora saldamente al timone del Consorzio del Brachetto ed è stato fondatore della Produttori Moscato, torna alla ribalta e annuncia di volersi candidare. Tuttavia la sua candidatura non sembra essere gradita. Si muovono pedine, si fa un po’ di politica e dal cilindro esce fuori il nome di Romano Dogliotti, una firma del moscato un personaggio storico, una bandiera di estrazione contadina, ma che piace anche alle multinazionali e alle Case spumantiere. E nessuno trova questa cosa strana, anzi.
C’è, però, anche Stefano Ricagno, enologo, direttore di una Cantina spumantiera, figlio di Paolo, che potrebbe essere un papabile giovane presidente. Anche sul suo nome, come sempre, si affollano voci e commenti. I detrattori evocano l’ombra del padre Paolo che, nel frattempo, annuncia un passo di lato proprio per propiziare l’elezione del figlio. I favorevoli vorrebbero Stefano Ricagno presidente come segno di rinnovamento. Poi ci sono i gattopardi che cambierebbero tutto perché nulla cambi. Alla fine saranno loro a vincere.
Si rompe il fronte sindacale, alcuni dicono perfino con la complicità della parte industriale. Confagricoltura, insieme a esponenti agricoli di varie aree tra cui la Cia, appoggia l’elezione di Dogliotti che tra l’altro è dirigente della Confagricoltura ad Asti.
A Stefano Ricagno va la vicepresidenza, insieme a Flavio Scagliola (entrambi parte agricola), Massimo Marasso e Piergiorgio Castagnotti (Case spumantiere) e l’immancabile Marzagalli che, per la prima volta nella storia del Consorzio, assume il ruolo di vice presidente senior. Per alcuni osservatori si tratta di una sorta di “tutor” del presidente, ma il direttore Bosticco dissipa ogni dubbio e sostiene che, al contrario, il “senior” servirà a dare equilibrio al Cda.
L’era Dogliotti e l’Asti Secco
Sotto la presidenza Dogliotti prende forma il progetto Asti Secco che alcuni avrebbero preferito chiamare Asti Dry, versione non dolce dell’Asti Spumante. Il lancio ufficiale, dopo una querelle con il mondo del Prosecco che accusa i piemontesi di avere copiato le loro bollicine proprio per quel nome Asti Secco che ricorda lo spumante a base di uva glera, avviene a settembre 2017 a Canelli, Roma e Milano.
Il territorio ci crede, molte aziende lo producono e lo mettono in listino. Di contro ancora non ci credono colossi come Martini & Rossi e Campari che, nonostante voci di sperimentazioni, non hanno il loro Asti Secco o Extra Dry come recentemente sembra alcuni produttori vogliano denominare il loro spumante non dolce da uve moscato.
Nel 2019 ci saranno nuove elezioni. L’alternanza dovrebbe portate un presidente consortile di parte industriale anche se alcuni auspicano un presidente super partes, magari della società civile, come si diceva una volta. Questa soluzione, tuttavia, appare molto lontana dai desiderata dei vertici consortili. Dunque un timoniere lato industrie. Chi? Un giovane o un uomo di esperienza. Non è difficile prevedere che l’andamento delle vendite e la tenuta dei rapporti tra vignaioli, cooperative, vinificatori, Case spumantiere e associazioni di categoria, in qualche modo condizionerà la scelta.
Il 2018, intanto, è vissuto nel segno della valorizzazione dell’Asti, Secco e Dolce e del Moscato docg. Eventi maggiori: ad Asti il Consorzio organizza il Concerto di Capodanno di Elisa e in Primavera, con altri consorzi ed enti, lancia il progetto “Dolce Valle”, sorta di sagra-fiera dolciaria spalmata tra Asti e Alba. Gli investimenti sono ingenti, nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro. I risultati, se ci saranno, si vedranno nel tempo assicurano gli esperti.
Assomoscato cambia timoniere
Altra novità che stravolge il mondo del moscato piemontese è il cambio della presidenza di Assomoscato, cioè della Produttori Moscato.
A luglio Giovanni Satragno, al timone da 18 anni, lascia, al suo posto viene eletto Claudio Negrino, della Cantina di Alice Bel Colle. C’è chi parla di normale avvicendamento e chi atto finale di una battaglia che da qualche tempo contrappone Assomoscato al Consorzio, attraverso varie presidenze, tra riavvicinamenti e strappi, cause legali e dichiarazioni al vetriolo.
Sarà questo stato di cose ad avere propiziato il cambio di presidenza?
Per ora non è dato sapere.
Unica dichiarazione di Satragno a SdP è stata: «Preciso che ho deciso io di non ricandidarmi alla presidenza e l’assemblea ha eletto Negrino». Molti danno Assomoscato per ridimensionata, qualcuno addirittura per morta. Claudio Negrino, nelle dichiarazioni post elezione ne vorrebbe rilanciare il ruolo guida all’interno della filiera. Staremo a vedere.
Il 2018
Intanto si avvicina la vendemmia 2018. Le rese proposte dal Consorzio alla Regione Piemonte, a cui spetta l’emanazione della delibera ufficiale, sono state fissate a 85 quintali per ettaro con 15 di sbloccaggio (5 sono sembrano sicuri a febbraio). Non si parla di prezzo, lo vieta l’Antitrust, ma di Cat, cioè di comitati aziendali di trattativa, sì. Saranno loro, sempre che siano formati, a trattare i prezzi delle uve con le Cantine. I Cat li ha proposti Giovanni Bosco, presidente del Ctm, il coordinamento terre del Moscato, movimento culturale che dagli Anni Ottanta si occupa di cultura e valorizzazione del Moscato. La sensazione, però, è che tutto sia già stabilito, che il prezzo sarà leggermente superiore a quello dell’anno scorso, tra i 10,75 e i 10,80 euro al miriagrammo per il docg e con i superi, il cosiddetto “aromatico”, tra i 3 e i 3,5 euro.
Tutto è cambiato, niente è cambiato
Insomma questo è quasi tutto quello che è accaduto negli ultimi sette anni e, comunque la si pensi, non è poco. Molto è cambiato, negli equilibri tra gli attori della filiera. La sensazione è che la parte industriale si sia in qualche modo fortificata, mentre la parte agricola resta divisa, frammentata, litigiosa perfino tra gli stessi elementi che la compongono.
L’ultima assemblea di Santo Stefano Belbo è stata la conferma delle lacerazioni che la attraversano con vignaioli, dopo decenni di lotte e associazionismo, ancora scarsamente consapevoli delle proprie potenziali, cooperative in parte in cerca di un’identità e combattute tra restare nel comodo e rischioso ruolo di fornitore dell’industria o tentare di conquistare i mercati accollandosi i pericoli di essere una vera impresa commerciale, associazioni di categoria in perenne lotta intestina tra gialli, verdi e rossi che poso di tollerano e rispecchiano il fronte sindacale nazionale, Case spumantiere che, pur unite nello scopo di fare business col moscato, restano divise tra chi è legato al territorio e ne fa un valore aggiunto, chi lo è, ma lo ricorda a tratti o lo dimentica, chi non lo è affatto e persegue bilanci multinazionali dove il moscato è uno zerovirgola.
Infine, ma non per ultimo, c’è da considerare la delusione di aver visto e sentito giovani agricoltori trattare il moscato come diritto acquisito, come un “reddito fisso” da incassare per il solo fatto di essere proprietari di qualche ettaro di vigna. Chi si aspettava che questi giovani portassero, oltre la sacrosanta protesta, anche idee, proposte, progetto, persino ipotesi di impresa, è rimasto deluso. Citiamo l’amara dichiarazione di Flavio Scagliola, vice presidente di parte agricola del Consorzio: «Si dice che il comparto sia litigioso ed effervescente, ma io non vedo effervescenza»
Ecco, in questo quadro a tinte contrastate manca un elemento legante, un catalizzatore, manca la cultura dell’uomo, mancano l’anima e il cuore che devono tornare a dirigere le azioni chi sta nella vigna e di chi legge bilanci e mette in atto strategie. E manca, grandemente, anhe un orgoglio, se non di terra, almeno di brand, di identità di marchio che, al contrario, altre denominazioni non solo hanno, ma stanno consolidando sempre di più.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)