Parlare di Champagne in terra piemontese è come guardare l’album fotografico di famiglia.
Il primo spumante d’Italia, infatti, nacque nel 1865, a Canelli nell’Astigiano, per l’intuizione di Carlo Gancia, fondatore dell’omonima Casa spumantiera, che, giovane apprendista cantiniere, andò proprio in Champagne a imparare tecniche e segreti del metodo champenoise che poi avrebbe applicato per il suo “Canelli Champagne”, poi diventato Asti Spumante, ottenuto da uve Moscato bianco. Un vino totalmente diverso dal mito francese, nato da un procedimento di fermentazione in bottiglia simile a quello dello Champagne.
Oggi parlare di Champagne in terra piemontese è parlare di Alberto Massucco (foto), imprenditore torinese in altre faccende affaccendato (la sua famiglia dal 1882 si occupa di produzioni metalmeccaniche) che è stato il primo italiano a possedere una vigna e diventare un vignerons di Champagne apprestandosi, «Tra il 2023 e il 2024» puntualizza, a produrre bottiglie delle famose bollicine francesi col proprio nome.
Dunque un piemontese che per primo importa il metodo champenoise in Italia e un altro che diventa il primo italiano nella lista dei vignerons e delle maison che producono Champagne in Francia.
Una storia troppo intrigante che andava fatta raccontare direttamente da Alberto Massucco.
– Dott. Massucco, c’è un che di magico nella forma di una bollicina di Champagne: un cerchio quasi perfetto senza soluzione di continuità. Tutto torna, insomma, più di un secolo e mezzo dopo lei ha fatto a ritroso e all’inverso il percorso di Carlo Gancia.
Non ci avevo mai pensato. È una riflessione interessante. Sì, credo si possa vederla anche così.
– Lei si presenta come il primo italiano che è diventato produttore di Champagne con vigne in Francia, eppure c’è qualcuno che mette in dubbio questa affermazione. Può chiarire?
Io sono stato il primo italiano a possedere una vigna e a essere iscritto nella lista dei vignerons e delle maison e, quindi, a diventare un produttore francese d Champagne. Chi contesta questo si riferisce a realtà diverse, di italiani che hanno affittato vigne i cui proprietari hanno dato loro il permesso di produrre Champagne. È una cosa totalmente differente. So di un altro piemontese, mi pare un produttore vinicolo, che avrebbe acquisito vigne nella Champagne, ma a quanto mi risulta, per ora, sembrerebbe un investimento finanziario»
– Dunque come le è venuto in mente di diventare un produttore di Champagne?
Non è stato un capriccio. Ho passione per lo Champagne da quando avevo quindici anni. Da adulto ho fatto molti viaggi in Borgogna e nella Champagne. Erano viaggi di piacere e anche di cultura perché il mondo del vino francese mi affascinava e mi affascina ancora oggi. Era ed è bello andare a scoprire piccole maison che fanno vere chicche di Champagne. Alla fine, con alcuni amici, cominciai a portare a casa piccole partite, per far conoscere le realtà che avevamo scoperto. Finché non pensai di far diventare questa passione un lavoro, o almeno una parte del mio lavoro, fondando uan società d’importazione importando e commercializzando in Italia selezionate marche di Champagne». (il sito qui)
– La svolta da produttore quando è arrivata?
È stato un amico vigneron, Erik De Sousa, proprietario di maison che un giorno mi ha detto: “Se ci fosse da acquisire una vigna saresti disponibile?”. Accettai con entusiasmo e poco dopo ero davanti a un notaio per la firma del contratto di acquisto»
– Cosa ricorda di quel momento?
Tutto. Erik devo dire fu la mia guida. Mi aiutò nell’iter burocratico e anche nel percorso tecnico agricolo. Forse contò anche il fatto che sia io sia lui, la cui famiglia è di origine portoghese, eravamo in qualche modo non francesi. Credo questo abbia contribuito a costruire tra noi una sintonia. Sta di fatto che alla firma dell’atto notarile ero al settimo cielo. In quel momento realizzai di essere il primo italiano che entrava in quel mondo e ne ero felice. Ricordo che anche il notaio era incuriosito da quell’”italien” che diventava vigneron di Champagne. La vigna che ho non è grande, ma è una caratteristica comune a molti produttori dello Champagne il quale, ricordo, è un blend di varie partite di uva che sono acquistate anche da diversi appezzamenti».
– Come l’hanno accolta i produttori francesi? In fondo lei è uno straniero e per di più italiano.
Per fortuna il mondo del vino, della terra, della viticoltura, è molto diverso dagli atteggiamenti che hanno altri mondi come quello della politica o dei rapporti tra Stati. Io, da parte dei vignaioli e produttori di Champagne ho trovato amicizia e disponibilità assolute e anche orgoglio e curiosità verso un italiano che ama così profondamente il loro vino. Certo conta molto come uno si presenta. Io sono arrivato con rispetto, umiltà e la voglia di imparare. I vignerons francesi mi hanno ripagato con lo stesso atteggiamento. Quando si parla di lavoro, di terra, di vino non c’è spazio per l’arroganza e i preconcetti».
– Quando usciranno i primi Champagne Alberto Massucco?
«Non prima del 2023, meglio nel 2024 e saranno Gran Cru Millesimati»
– Una scelta di produzione precisa.
«Vogliamo puntare all’eccellenza e questo è il primo passo»
– Quali i vitigni avete scelto?
«Per ora chardonnay in purezza, ma stiamo pensando ad altre combinazioni. Non ci fermeremo certo qui»
– I mercati di riferimento?
«Italia soprattutto, ma abbiamo già richieste dall’Est Europa e anche da Oltreoceano»
– Da produttore italo-francese dà un focus sul mercato italiano?
«È uno dei principali per lo Champagne, al terzo/quarto posto come volumi, ma spesso al secondo come valore. Tradotto vuol dire che gli italiani, quando bevono Champagne, bevono bene e sono consumatori sempre più competenti»
– E il mercato francese?
«Da quello che so la pandemia da ridotto di molto le vendite “domestiche” di Champagne. I francesi, quelli che possono permetterselo, bevono Champagne tutti i giorni, non solo, come fanno gli italiani, in occasioni speciali. L’emergenza sanitaria del Covid sembra abbia fatto calare in modo importante il consumo di Champagne in Francia. In Italia questo non è accaduto in modo così eclatante»
– Che pensa dei Metodo Classico italiani?
«Che sono eccellenti e stanno facendo enormi passi in avanti, ma vorrei sgombrare il campo da un equivoco: Champagne e spumanti Metodo Classico italiani, non sono paragonabili perché sono vini differenti che nascono in terroir diversi. Hanno solo in parte in comune tecniche di vinificazione. Tutti qui. Poi ci sono le differenze. Ne cito almeno due: lo Champagne ha un gusto che rimane nel palato e dona sensazioni più lungo inoltre, spesso, per bere un buon Champagne si spende meno che per un buon Metodo Classico italiano».
Insomma lo Champagne è sempre lo Champagne e il Metodo Classico italiano, con l’Alta Langa in testa, è sempre un bel bere. Il consiglio, se si può, è di gustarseli insieme rimandando eventuali derby ad altri campi e coltivando, sempre con sobrietà ça va sans dire, l’italico orgoglio che in mezzo ai produttori francesi di Champagne ci sia anche un piemontese doc.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)