Riceviamo e Pubblichiamo. Sulle origini del Barolo Abbona risponde a Fino: «Lo dicono storia e illustri esperti, il merito va ai Marchesi Falletti»

inserito il 11 Aprile 2024

Riceviamo e pubblichiamo un articolato intervento di Ernesto Abbona di Marchesi di Barolo sulle origini e soprattutto su chi ebbe ruolo determinate nel successo del re dei vini e vino dei re.

La vulgata popolare (e giornalistica) tende ad attribuire a Camillo Benso Conte di Cavour il merito. Una tesi smentita da Abbona (leggi qui) e poi commentata da Michele Antonio Fino, docente all’Università di Pollenzo secondo cui non ci sarebbero evidenze certe sulle origini del Barolo.

Sostiene Fino nel commento che trovate in versione integrale in coda all’intervento di Abbona al link indicato sopra: “… Non si può però considerare attestata alcuna paternità: non di Cavour, non di Staglieno, non dei Marchesi né tantomeno del mitico commerciante di vini Oudart…”.

A questa dichiarazione Abbona però non ci sta e rilancia con il contributo che pubblichiamo qui di seguito.

Avvertenza: quello di Ernesto Abbona è un intervento lungo e articolato, non propriamente adatto ai canoni sintetici del web, ma a nostro avviso interessante per chi, come lo stesso Abbona e il prof. Fino, ama analizzare e studiare la storia che, ricordiamo, è patrimonio prezioso per quelle comunità che vogliano garantirsi presente e futuro degni e solidi.

Scrive dunque Ernesto Abbona:

§§§

Il commento di Michele Antonio Fino è un’opportunità ghiotta per tornare su un argomento che mi appassiona e al quale dedico da anni molto del mio tempo. Mi spiace dover prendere le mosse da una, sia pur piccola, nota critica: se la storia può e deve essere, come è ovvio, interpretata seconda sensibilità diverse, la cronologia degli eventi direi proprio che è, almeno in questo caso, certa.


È quasi inutile ricordare che Carlo Tancredi Falletti, nato nel 1782 e Giulia Colbert, nata nel 1785, appartenevano ad una generazione precedente a quella del giovane Camillo Benso di Cavour, nato nel 1810. Che poi il piccolo Camillo fosse legatissimo a Giulia lo dicono i libri di storia se, a sei anni, nel 1816, confidava alla zia Vittoria di Sellon, di aver conosciuto:  «… una charmant e jeune et touchant ed ameque je discocote, maisson nom est Juliette Boroline» e, cioè: «una toccante, giovane e affascinante signora che io chiamo cocca, ma il suo nome è Juliette Baroline».


Infatti, i Marchesi Falletti – Carlo Tancredi e Giulia – che si erano sposati a Parigi nel 1806, con il ritorno a Torino dei Savoia dopo la parentesi napoleonica, si stabilirono definitivamente a Torino nel 1814, a palazzo Barolo, da dove si spostavano nelle diverse proprietà della famiglia Falletti quindi, anche nel cuore delle Langhe, a Barolo.

L’arrivo di Giulia a Barolo anticipa, quindi, di molti anni il momento in cui il giovane Cavour si trasferisce e diventa sindaco di Grinzane a soli ventidue anni, nel settembre del 1832; e, analogamente, anticipa la nascita, della tenuta reale di casa Savoia per volontà di Carlo Alberto, come, infatti, risulta anche dal sito internet del Castello di Verduno realcastello.com/storia/: «Nel 1838 Re Carlo Alberto acquista dai due istituti di carità il Castello di Verduno, affidando la direzione della tenuta e della cantina al Generale Carlo Staglieno, famoso enologo …»

Comunque, per seguire l’affermazione del professor Fino, è certo che i marchesi Falletti avessero senz’altro esperienza «del fatto che vini serbevoli erano vini limpidi, fragranti e longevi». Se, come scrive il professor Fino, «certamente, gente ch eveniva dalla Francia e viaggiava spesso in Francia aveva piena contezza del fatto che vini serbevoli erano vini limpidi, fragranti e longevi» è ampiamente documentato che il giovane marchese Carlo Tancredi intraprese col padre numerosi viaggi in Olanda, Germania, Svizzera e Francia, dove prese casa, a Parigi e dove conobbe Giulia.


Prendiamo per buono quello che scrive il professor Fino, cioè che «il decennio chiave è quello degli anni30delXIXsecolo»: certamente, i Marchesi Falletti di Barolo avevano iniziato a produrre il vino a Barolo da qualche anno, cioè quando il Conte Camillo Benso era appena nato. Il professor Fino ha ragione, ho citato Giorgio Gallesio, ma l’ho riportato in modo incompleto. Riporto quindi in modo integrale la descrizione della sua visita a Barolo il 19 settembre 1834, peraltro facilmente reperibile su Internet:



Quindi, Giorgio Gallesio ha scritto che:

  • In questo paese (Barolo) si crede che per avere del vino finissimo bisogna farlo di Nebbiolo puro, oppure (ma sembrerebbe un’opzione) vi si mischia il Neiran perché gli dà colore… (perciò, il vino prodotto in quegli anni a Barolo nelle cantine dei Falletti era tendenzialmente un monovarietale).
  • Ho visitato la cantina del Marchese di Barolo… Vi erano 30 botti (non poca cosa, ma un volume cospicuo di vino!) e, infatti, in precedenza vi si leggeva:
  • … Il Marchese di Barolo lo conserva per mandarlo alla Corte di Torino e ad altri (quindi, quando Camillo Cavour era arrivato solamente da due anni a Grinzane e Pollenzo nemmeno esisteva come tenuta agricola, il Marchese Falletti mandava il suo vino di Barolo alla Corte Sabauda.)
  • Ho assaggiato quello del 1833 ed era aspro ed ingrato (il Nebbiolo della vendemmia 1833 non era infatti pronto, non era neppure trascorso un anno dalla vendemmia); quello del 1832 era invece morbido ed amabile (il Nebbiolo della vendemmia 1832, in due anni, aveva già avuto tempo di affinarsi un po’.)
  • I vini di Barolo non sono soggetti a inacidimento. Pertanto, qui non si fa aceto (già allora, quindi, le tecniche di lavorazione dei vini e, soprattutto, l’igiene di cantina, quantomeno nelle Cantine dei Marchesi Falletti di Barolo, erano tali da evitare le contaminazioni microbiologiche e, di conseguenza, il rischio di avere inacidimenti nel vino era pressoché nullo).


Inoltre, il sito ufficiale del Castello di Grinzane castellogrinzane.com/il-conte-cavour/ riporta testualmente che:

  • «A soli 22 anni, Il conte Camillo si ritrovò sindaco di Grinzane e, nel settembre del 1832, si trasferì nel piccolo comune dellAlbese. Al suo arrivo in paese constatò che cerano appenatrecentocinquantaabitanti,tutticontadiniebracciantiche,nellincontrarlo,lochiamavano Eccellenza e Illustrissimo. Grinzane era così piccola ed insignificante che non vi era neanche un luogo degno per convocare il Consiglio Comunale!
  • Tutto era in disordine, specialmente le cantine. Si produceva poco, braccianti e giornalieri trascorrevano le giornate nellozio, la gente rubava impunemente. Camillo licenziò disonesti e fannulloni e si dedicò con passione e dedizione a migliorare la condizione e lefficienza delle sue tenute agricole attorno al Castello, a partire dai vigneti, adottando le tecniche di coltivazione più moderne per i tempi. Cavour, per quanto giovane, capì immediatamente larretratezza delle tecniche di coltivazione delle sue vigne e dei processi di vinificazione, a seguito dei quali veniva prodotto un Nebbiolo di qualità scadente.
  • Nel 1836 chiamò, quindi, quale suo consulente, il marchese Pier Francesco Staglieno, ex generale plurimedagliato ed esperto enologo. Lo Staglieno introdusse innovazioni sostanziali, come la fermentazione in tini chiusi anziché aperti, perdiminuire lossidazione del mosto, eluso dello zolfo per garantire una più lunga conservazione del vino. Allo Staglieno subentrò nel 1848 un enologo francese, Louis Oudart, che si mise al lavoro per ottenere un vino secco e invecchiato, sul modello bordolese …»

 
È bene, a questo punto ricordare che Giorgio Gallesio descrive le Cantine dei Marchesi di Barolo in piena e florida attività, con vini esenti da inacidimento, il 19 settembre 1834, ben due anni prima che il generale Paolo Francesco Staglieno, come scrive il professor Fino, «scende a Pollenzo dopo essere stato governatore del forte di Bard».


Paolo Francesco Staglieno termina il suo servizio nell’esercito sabaudo con il grado di maggior generale e governatore del Forte di Bard, dove incontra Camillo Benso di Cavour cui era stata affidata, nel 1831, la supervisione dei lavori di ricostruzione. All’interno dell’Opera Carlo Alberto del Forte di Bard, l’Hotel Cavour etdes Officiers ricorda quel periodo. Ritirato a vita privata, Staglieno fu incaricato da Cavour nel 1836 di seguire i vini della tenuta di Grinzane. Il suo libro di tecnica enologica “Istruzioneintorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte” fu pubblicato nel 1835, più di vent’anni dopo l’arrivo di Giulia a Barolo; con questo non voglio certo affermare che Tancredi e Giulia non abbiano tratto giovamento dagli studi di Staglieno; voglio solo ricordare che il Barolo dei Marchesi di Barolo era già molto noto ed affermato anni prima che Staglieno fosse libero di dedicarsi all’enologia a Grinzane, per essere poi nominato da Carlo Alberto responsabile della vinificazione della tenuta di Pollenzo.


Aggiungo che Giovanni Silengo – che si occupò dell’importante lavoro di inventariazione delle carte del conte Cavour conservate nel Castello di Santena, oggi sede della Fondazione Camillo Benso Conte di Cavour – raccolse e catalogò tutta la corrispondenza intercorsa tra Giovanni Bosco, fattore della Tenuta di Grinzane, Carlo Rinaldi, segretario di Casa Cavour, lo stesso conte Camillo e tutti gli altri soggetti con cui si relazionava; tra questi anche Louis Oudart, contitolare della Casa Vinicola Oudart- Bruché, con sede in Genova, che subentrò al Marchese Paolo Francesco Staglieno nella conduzione agronomica della Tenuta di Grinzane, nella gestione della cantina e nella commercializzazione dei vini ivi prodotti, attività ben dettagliata nel «Contratto per la vendita di uve» sottoscritto a Torino il 13 novembre 1847.

Ebbene, in tutta questa corposa corrispondenza raccolta nel volume «Le Lettere del Fattore di Cavour» pubblicato nel 1979 dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba, con sede nel Castello di Grinzane Cavour, mai si fa cenno alla produzione di «Barolo» nella tenuta di Grinzane.


Viceversa, nella corrispondenza inviata al conte Cavour il 3 settembre 1844, si può facilmente notare come i due uomini d’affari, Oudart e Brouché, si appropriano, senza chiederne il preventivo consenso, della denominazione di origine del vino prodotto nelle tenute di Grinzane: «Ci siamo scordati nella nostra ultima di chiedervi il permesso di attribuire ai campioni del vino che abbiamo fatto lo scorso anno nella vostra campagna il nome di Grinzane»…

Inoltre, non facendo alcun cenno ad alcuna indicazione di vitigno, Oudart e Bruché rivelavano il loro scarso interesse a produrre vini mono-varietali e, viceversa, la loro propensione a realizzare vini bordolesi, cioè, derivanti dall’assemblaggio di più vitigni.

In quella inviata il 31 agosto 1851 a Carlo Rinaldi, segretario di Casa Cavour, Louis Oudart scrive testualmente: «Ho anche visitato le piccole vigne del Garet, sono spettacolari e i grappoli sono magnifici, quelli di Tokai e di Champagne e quelli di Bordeaux si sono ripresi bene (dal marino) e ciò fa ben sperare che il sito di Grinzane è anche ideale per questi vitigni»….

 
Si tratta dei vitigni stranieri, francesi, che al tempo di Cavour (certo con il suo consenso, ma sotto l’ispirazione e la guida di Oudart, come scrive Giovanni Silengo) si introdussero nella proprietà del Conte di Cavour, a Grinzane, con l’intento di realizzare un vino «Bordolese».

In merito alle affermazioni dell’enologo Arnaldo Strucchi, mi limito ad osservare che queste risultano, testuali, dalla relazione «La Viticoltura e l’Enologia all’Esposizione Nazionale di Torino» del 1884, presente nel fascicolo N.9 del volume «Le Viti Americane la Filossera e altre Malattie della Vite» Anno III, stampato in Alba dalla Tipografia Ved. Marengo e Degiacomi.

Infatti, nella relazione sui vini partecipanti all’Esposizione Generale di Torino del 1884, l’enologo Arnaldo Strucchi – direttore della ditta Cora di Costigliole d’Asti e, successivamente, socio della ditta Gancia in cui assunse responsabilità gestionali – scrive testualmente: «La rinomanza delBarolo non è molto antica neppur essa, risale a soli sessant’annifa, e ne è dato merito al Marchese Falletti di Barolo, dignitario di Corte e ricchissimo proprietario di terre».

È quindi Arnaldo Strucchi ad attribuire la rinomanza del Barolo al Marchese Carlo Tancredi ed a datarla all’inizio degli anni ’20 del 1800 (1884 – 60 anni = 1824).


Sembra, quindi, quantomeno azzardato scrivere che quello che ho scritto si «fondasuuna affermazione senza alcun supporto da parte dell’enologo». Infatti, questa affermazione, così perentoria e puntuale, è stata pubblicata sullo stesso volume «Le Viti Americane la Filossera e altre Malattie della Vite» in cui compaiono numerosi contributi di autorevoli studiosi del tempo quali:

  • Il Prof. Vannuccio Vannuccini, direttore dell’Istituto Agrario Vegni alle Capezzine di Montepulciano
  • Il Prof. G. Pitzorno dell’Università di Sassari
  • Il Commendator P. Selletti, appassionato viticultore ed enologo, vice-presidente della Commissione Ampelografica di Novara
  • Il Dott. Odorico Odorici, di Brescia E, in particolare:
  • Il Prof. Domizio Cavazza, direttore della Regia Scuola Enologica di Alba
  • Il Prof. P.C. Rolando, Presidente del Comizio Agrario Albese
  • Il Prof. Augusto Jemina, titolare della cattedra di Agricoltura nel Regio Istituto Tecnico di Torino e segretario del Consorzio Antifillosserico Subalpino

Nessuno di questi studiosi ha mai contestato l’attribuzione della rinomanza del Barolo al Marchese Carlo Tancredi Falletti, né la datazione di questa all’inizio degli anni ’20 del 1800, cioè a pochi anni dopo l’arrivo di Tancredi e Giulia da Parigi.

L’intera comunità vitivinicola Albese e delle Langhe, così come i più autorevoli cattedratici dell’epoca degli Istituti Agrari del Regno d’Italia, non così distanti dal verificarsi degli eventi, non hanno manifestato alcuna perplessità circa la nascita del Barolo, così come indicata da Arnaldo Strucchi. Non occorre quindi attendere il secolo successivo per avere testimonianze autorevoli, mentre sembra un poco gratuita l’affermazione del prof. Fino «Nessuna testimonianza successiva(a quella di Giorgio Gallesio) è fededegna. Tanto meno quelle novecentesche».


Mi pare proprio che, oltre all’enologo Arnaldo Strucchi, tanti altri illustri e stimati personaggi abbiano confermato la cronologia della genesi del Barolo dandone il merito agli ultimi Marchesi Falletti, Carlo Tancredi e Giulia. A meno, certo, che il professor Fino voglia negare ogni credibilità a tutti gli studiosi citati e, cioè:

  • il geom. Lorenzo Fantini che, nel 1883, redige la «Monografia sulla Viticultura ed Enologia nella Provincia di Cuneo». La reputazione del geom. Fantini era tale che Il capitolo «il Barolo» viene successivamente stampato nell’edizione del 1884 de «Il Giornale Vinicolo Italiano», la più autorevole pubblicazione di settore diretta dal prof. Ottavio Ottavi, dove, a pag. 270, viene riportato quanto scritto a mano nella Monografia: «Eppoi, chi ha fatto la nomea a questo nebbiolo? Tutti lo sanno che sono i vini del compianto Marchese di Barolo, il quale in tempi in cui non si conosceva neanco di fama lesportazione, sia pei mezzi che disponeva, sia ancora per le immense ed elevate relazioni che aveva, potè far conoscere i suoi vini in paesi in cui nessuno poteva far arrivare i suoi. Lo si chiamò semplicemente Barolo perché tale era il nome del comune da cui proveniva…».
  • Lorenzo Fantini – dal sito dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba – geometra di Monforte, redige la Monografia presumibilmente nel 1895 per l’Esposizione Provinciale di Cuneo. L’opera, scritta a mano, in bella calligrafia, è d’interesse eccezionale: per la completezza, per le tavole dei vari sistemi di coltivazione, per i conti colturali, per la suddivisione delle zone d’origine dei vini, per i commenti sagaci e mordaci, per le indicazioni sulla strada da seguire per migliorare la qualità e la conquista di nuovi mercati. Significativo è l’elenco delle cantine dell’epoca descritte con il fervore del cronista; stupendo è il racconto dei vini, delle zone d’origine, con tanto di ‘crus’. (testuale). L’originale dell’ultima stesura fu rinvenuto negli Archivi dell’Ispettorato Agrario di Cuneo da Roberto Macaluso e stampato dai Cavalieri in copia anastatica.
  • Ottavio Ottavi – tratto dall’Enciclopedia Treccani – A vent’anni incominciò a collaborare al periodico Il coltivatore, fondato da suo padre. Compiendo svariate escursioni in Toscana, andò maturando in lui il proposito di specializzarsi in viticoltura ed enologia. Nel 1873 usciva la sua Monografia sui vini da pasto e da commercio, che nel 1875 era già alla 5ª edizione, e che doveva poi trasformarsi in quel trattato di Enologia teorico-pratica (Casalmonferrato 1882), che per vari decennî non fu superato in Italia, raggiungendo ben 11 edizioni. Nel 1875 fondava, sempre a Casalmonferrato, il Giornale vinicolo italiano, che doveva continuare per 57 anni a tenere il primato fra i periodici viti-vinicoli d’Italia. Numerosi sono i trattati e le monografie da lui compiuti nella breve sua vita, ma l’opera sua più poderosa, e che diffuse la sua fama in tutto il mondo, è la Viticoltura teorico-pratica (Casalmonferrato 1885), che ebbe 4 edizioni. Seppe affermarsi con fortunate imprese anche nel campo dell’industria (concimi chimici, cemento, cognac); prestò la sua opera nelle pubbliche amministrazioni e nelle associazioni agrarie.
  • Il già menzionato enologo Arnaldo Strucchi, autore di numerose pubblicazioni tra la fine dell’800 e i primi anni del XX° secolo, alcune delle quali conservate al Museo della FAO. La sua notorietà e la sua reputazione sono ancor oggi tali che, alla Nota 70 del volume «Studi sullAgricoltura Italiana» edito nel 1994 dalla Fondazione G. Feltrinelli, gli autori Pier Paolo D’Attorre e Alberto de Bernardi scrivono di lui: «Arnaldo Strucchi era uno dei più importanti esperti di enologia operante in Italia nella seconda metà del XIX secolo». Nella relazione sui vini partecipanti all’Esposizione Generale di Torino del 1884, Arnaldo Strucchi scrive testualmente: «La rinomanza del Barolo non è molto antica neppur essa, risale a soli sessant’anni fa, e ne è dato merito al Marchese Falletti di Barolo, dignitario di Corte e ricchissimo proprietario di terre».
  • Arnaldo Strucchi – dal sito Sapori del Piemonte – (1853 – 1913) nominato Cavaliere del Lavoro nel 1906, di umili origini iniziò a lavorare nello stabilimento enologico dei F.lli Cora a Costigliole d’Asti. Giovane intelligente e perspicace, diventò in breve tempo direttore tecnico. Intanto nei ritagli di tempo studiava assiduamente, acquisendo una notevole cultura letteraria e scientifica. Diventò uno scrittore in materia di coltura delle viti, molto apprezzato anche da esperti del settore. Fu nominato direttore della ditta Gancia, della quale diventò anche socio. Sotto la sua direzione la fabbrica sviluppò in misura notevole la produzione, soprattutto nel settore degli spumanti. Fece parte, come rappresentante comunale, del Consiglio di amministrazione della stazione enologica di Asti. Stimato e rispettato dai colleghi e dagli industriali dell’epoca, fu anche ben voluto dalle maestranze per il suo tratto e l’umanità verso gli operai.
  • Don Domenico Massè, Rettore del Collegio di Barolo, che ne «Il Paese del Barolo» edito nel 1928 afferma, a pag. 48: «Poiché a creare quel tipo di vino che va ora sotto il titolo di Barolo furono i Marchesi Falletti al principio dellottocento, i quali lo producevano con ogni cura nelle loro estesissime tenute di Barolo e Serralunga, e, valendosi delle loro numerose conoscenze e dei loro lunghi viaggi, lo fecero conoscere ed apprezzare…»
  • Don Domenico Massè – da La Sentinella del Canavese – Nato nel 1889 e scomparso nel 1963, il canonico Massè, partigiano, fu anche prigioniero dei nazifascisti. Nativo di Cuorgnè, dopo aver compiuto gli studi ginnasiali all’Istituto «Giusto Morgando», era stato ordinato sacerdote nel 1911. Dopo un breve periodo come viceparroco a Rivara, si era dedicato ai giovani arrivando alla direzione del Collegio Barolo. Giornalista, era stato cofondatore e direttore del giornale «Giovane Piemonte», organo della Gioventù Maschile Cattolica. Sono molto apprezzate le sue opere storiche, incentrate sul periodo risorgimentale e sui rapporti tra i cattolici e le forze politiche. Don Domenico Massè è stato autore di libri fondamentali per lo studio delle relazioni tra Stato e Chiesa in epoca risorgimentale. Nel 1961, anno in cui festeggiò i cinquant’anni di sacerdozio, le edizioni Paoline pubblicarono il suo volume «Cattolici e Risorgimento», riassuntivo di tutti i suoi studi su questo periodo storico.
  • Domi Gianoglio, nato ad Alba, giornalista al Popolo Nuovo, che ne «Invito alle Langhe» del 1965 a pag. 33 scrive: «Il nome, che lo ha portato nel mondo come uno dei migliori vini darrosto, gli deriva dal Comune di Barolo e più dalle alte relazioni del Marchese di Barolo…» E, nella successiva pag. 34: «Il maggior merito della fama attuale del barolo spetta indubbiamente al Marchese Tancredi fallettidi Barolo, proprietario degli splendidi vigneti del paese e di quelli di Serralung adAlba, passati poi allomonima Opera Pia, riccamente dotata dalla Sua vedova, Giulia Colbert di Maulévrier…»
  • «Invito alle Langhe», di Domi Gianoglio – Pubblicato da Andrea Viglongo nel 1965 resta ancora oggi il libro più completo dedicato alla patria di Cesare Pavese e di Beppe Fenoglio. Storia, tradizioni, folclore, usi e costumi, cibi e vini, curiosità dei vari paesi e paeselli che compongono l’arcipelago langarolo, tra basse e alte colline, da Alba alla ventosa Roccaverano, da Barolo alla vetta di Mombarcaro, sono raccontati in modo approfondito e piacevole
  • Renato Ratti, nella «Guida ai Vini del Piemonte» Eda Edizioni, 31 ottobre 1977, a pag. 111-112, scrive: «Furono i Marchesi Falletti a far fermentare totalmente il mosto delle uve Nebbiolo dei vastissimi possedimenti di Barolo, Serralunga, La Morra, influenzati da quanto avevano appreso nei frequenti contatti con la nobiltà francese della Borgogna, che già aveva indirizzato la propria produzione verso i vini secchi».
  • Renato Ratti, nato a Villafalletto nel 1934 si diploma brillantemente alla Scuola Enologica di Alba. Inizia la Sua attività come enotecnico alla Cinzano, in Brasile dove opera sino al 1965. Tornato in Italia fonda e preside l’Unione Produttori Vini Albesi. Diventa poi Presidente del Consorzio di Tutela del Barolo e Barbaresco. Nel 1976 è chiamato alla direzione del Consorzio dell’Asti Spumante, dove rimarrà per 12 anni, sino alla morte nel 1988. Scrive libri, articoli, disegna vignette e soprattutto mappa graficamente le denominazioni realizzando carte e tavole ampelografiche.
  • Cristina Siccardi che, nella Nota 7 del volume «Carlo Tancredi Falletti di Barolo. Lanonimato di un genio nellItalia risorgimentale», scrive: «Il nome Barolo è conosciuto in tutto il mondo per lottimovino «Re dei vini» e «vino dei re» che di esso porta letichetta. Allinizio del secolo scorso (si riferisce al XIX° Secolo) il vino Barolo iniziò per primo, in Piemonte, il ciclo che doveva poi orientare la produzione subalpina verso i vini secchi, anziché su quelli dolci»…«Furono proprio i marchesi Falletti ad incrementare tale produzione, facendo fermentare totalmente il mosto delle uve Nebbiolo – ottenendo così il Barolo – dei vastissimi possedimenti di Barolo, Serralunga, La Morra, influenzati da quanto avevano appreso dai frequenti contatti con la nobiltà francese della Borgogna, ormai esperti di vini secchi»
  • Cristina Siccardi, nata a Torino nel 1966, laureata alla Facoltà di Lettere, in Scienze storiche, dell’Università di Torino (con la tesi dal titolo «Gli scritti della Marchesa Giulia Falletti di Barolo» nella cultura subalpina del primo Ottocento), è specializzata in Storia della Chiesa e Storia di Casa di Savoia. Dopo molte esperienze in campo culturale e giornalistico, lavorando nella redazione del Settimanale «Il Nostro Tempo», scrivendo per «La Stampa», «La Gazzetta del Piemonte», «L’Osservatore Romano», è iscritta all’Ordine dei Giornalisti dal 1989. Oggi è Vicedirettore della rivista on-line «Europa Cristiana» e collabora con diverse testate giornalistiche e radio. Docente dell’Accademia di Alti Studi «Schola Palatina», è membro delle Accademie Paestum, Costantiniana, Ferdinandea, Archeologica italiana, Bonifaciana. Molte delle sue oltre 60 opere saggistiche sono state tradotte all’estero e dal suo studio dedicato alla principessa Mafalda è stata tratta la fiction per Mediaset «Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa», prodotta da Angelo Rizzoli e diretta dal regista Maurizio Zaccaro. Il 26 novembre 2010 ha ricevuto il Premio “Bonifacio VIII” della città di Anagni. Il 16 settembre 2022, nel Teatro San Lorenzo alle Colonne di Milano, ha ricevuto il Premio Internazionale di Giornalismo e Comunicazione “La Rosa d’Oro” (V edizione). Il 20 agosto 2023 ha ricevuto il Premio «Valdieri» nel Piazzale Regina Elena di Savoia del Comune di Valdieri.

Inoltre, a confermare quanto di importante e straordinario, in quel contesto, i Marchesi Falletti di Barolo e, dopo la loro morte, l’Opera Pia Barolo, avevano realizzato sia sotto l’aspetto strutturale (le cantine di vinificazione e affinamento) sia sotto l’aspetto della diffusione e della notorietà del Barolo, il Cav. Giovanni Boschiero nella «Relazione sulla Industria dei Vini all’Esposizione di Vienna del 1873» a seguito della visita alla Stazione Enologica Sperimentale di Klosterneuburg, individua nell’Opera Pia Barolo la sede ideale per realizzare anche in Italia un simile Istituto in quanto «l’OperaPiaBarolo possiede ed amministra una quantità considerevole di vigneti con ampii locali nella Provincia di Cuneo, i quali danno il miglior vino rosso che si produca in Italia».

Nella successiva «Relazione sulla Industria dei Vini all’Esposizione Universale di Parigi del 1878» il Cav. Giovanni Boschiero, insignito nel frattempo del titolo di Commendatore ed eletto Presidente della Camera di Commercio di Alessandria, narra il non felice esito della sua proposta: «Questa mia proposta venne accolta favorevolmente dall’Amministrazione dell’Opera Pia, dalla Provincia e dallo stessoMinistero. L’Opera Pia attendeva che il Governo ne prendesse l’iniziativa, ed il Governo aspettava che l’OperaPialepresentasseregolareverbaledideliberazioneperilsuoconcorsonellafondazionediun tale Instituto, ed io stesso manifestai questo desiderio del Ministero all’Amministrazione. Ma senza mal volere dialcuno, si conchiuse nulla, e venne più tardi aperta la scuola di viticoltura ed enologia di Conegliano».

Aggiungo, quindi, alle numerose testimonianze novecentesche in merito all’argomento della nascita del Barolo, anche la mia. Lo so, oltre che «cultore della materia» sono parte in causa, avendo la mia famiglia acquisito, quasi un secolo fa, le cantine che erano «Già» dell’Opera Pia Barolo e, prima dei Marchesi Falletti di Barolo: le stesse descritte dall’illustre Giorgio Gallesio.

Certo, il professor Fino potrà dire che non sono «fededegno», che quello che ho scritto si fonda su affermazioni senza alcun supporto, ma, come si vede, sono in ottima e qualificata compagnia. In attesa che Dan Brown ci smentisca.

Ernesto Abbona

(Immagini del Castello di Barolo tratte da sito di WIMU, museo del vino di Barolo)

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