
Lo aveva segnalato il blogger statunitense Jeremy Parzen, intervistato da noi al Vinitaly di Verona (guarda qui): le vendite di vino negli Stati Uniti d’America continuano a salire nonostante i dazi del 20%, minacciati e per ora sospesi, imposti unilateralmente dal Presidente Donald Trump.
Lo conferma anche un recente rapporto, realizzato in sinergia con Unicredit, di Nomisma Wine Monitor, strumento di analisi del mercato vinicolo.
Lo studio ha coinvolto circa duemila persone residenti negli Stati di New York, California e Florida, dove il consumo di vino risulta più alto che nel resto degli States.
Il rapporto dice che: “La maggioranza dei consumatori americani vede un futuro di crescita per il vino italiano”. Secondo i risultati, anche nel breve periodo (entro i prossimi 12 mesi), “dovrebbe condurre a una maggior propensione al consumo dei vini italiani rispetto alla media. A prescindere dal 65% dei consumatori che manterrà invariato il consumo di vino italiano, un altro 25% ha dichiarato di volerlo aumentare, contro un 13% che lo ridurrà, denotando in tal modo un saldo positivo”.
Un dato globale: secondo l’indagine di Nomisma Wine Monitor “negli ultimi dieci anni, l’Italia figura come il paese il cui export di vino è cresciuto di più tra tutti i competitor: +60% contro il +51% della Francia e il +33 della Nuova Zelanda”.
E nonostante questo il rapporto invita a diversificare i mercati: “Posto che il mercato USA resta al momento pressoché insostituibile, l’analisi condotta da Nomisma sui mercati che nell’ultimo decennio hanno maggiormente aumentato gli acquisti di vino italiano mette in evidenza Paesi situati soprattutto nell’Est Europa e in Asia. Rispetto ad un tasso medio di crescita dell’export di vino italiano del 5% (CAGR 2014/2024), i paesi che hanno mostrato tassi almeno doppi vanno dalla Corea del Sud (+10% annuo) alla Polonia (+13%), dal Vietnam (+18%) alla Romania (+20%)”.
Insomma anche in questo caso vale la buona regola commerciale: dipendere da un solo committente è comodo, forse proficuo, ma prima o poi può esporre a rischi come la diminuzione del potere contrattuale (la politica trumpiana dei dazi è un esempio eclatante), l’aumento della concorrenza e, in ultima analisi, perdita di margini di guadagno e addirittura dello stesso mercato committente.
SdP