
Questa mattina (24 marzo) su Il Foglio Quotidiano, a firma del vicedirettore, Salvatore Merlo, è stata pubblicata una lunga intervista al produttore vinicolo piemontese (di Barbaresco), Angelo Gaja.
Raramente su questo blog riferiamo di interviste su altri media. Questa è una delle rare volte perché Gaja ha parlato di dazi in modo diverso dalle consuete dichiarazioni di queste settimane da parte di esponenti del mondo dell’enologia.
Gaja, per esempio, ha riconosciuto al Presidente Trump di avere operato a favore dell’Italia nella precedente tornata di extra tasse, quella del 2020, durante il suo primo mandato, quando mise gabelle sui vini francesi e di altre nazioni europee, ma non sugli italiani facendo loro guadagnare, sostiene Gaja, parecchio spazio sul mercato USA.
Il messaggio del produttore di Barbaresco sembra essere: “abbiamo guadagnato bene allora. Vediamo che accade questa volta”. E dunque sui dazi trumpiani, che dovrebbero scattare dal 2 aprile prossimo, invita alla prudenza e all’attesa. I suoi colleghi incrociano le dita.
Non è l’unica originalità dell’intervista concessa a Merlo. A proposito di conflitto russo-ucraino riferisce le previsioni del suo importatore russo che, nel caso di tregua della guerra tra Mosca e Kyev (se ne sta trattando in queste ore a Riad) pronostica un boom delle vendite di vini italiani nella capitale russa, «… perché lì c’è tanta voglia di festeggiare». C’è da chiedersi se ci sarà lo stesso spirito nella capitale ucraina, che, però, a spanne rappresenta un mercato di minore interesse per il vino italiano.
Poi l’intervista si snoda su temi più interni, dalle leggi salviniane che hanno inasprito le sanzioni per chi esagera col bere e si mette al volante, ai concetti del bere con misura, di vino/cultura/tradizione ben diverso da quello di bevanda alcolica tout-court, all’idea di provincia (la Langa) come distributore di ricchezza. E anche sui mercati internazionali: con gli USA bisogna trattare e poi ampliare altri mercati come l’Asia e l’Africa. Lo ha detto qualche giorno fa anche il Ministro degli Esteri e del Mercato Estero, Antonio Tajani.
E la politica italiana? Per Gaja sembra che nessuno sia bocciare. Confessa che un po’ li ha votati tutti, «… pure Grillo, per protesta». Meloni, però, non ancora, dice.
E c’è spazio anche per il giochino di abbinare i vini ai politici.
A livello internazionale Trump, che sarebbe astemio anche se più volte fotografato mentre ha in mano calici di vino, per Gaja non è assimilabile a un vino e neppure a una bevanda alcolica. Putin, invece a una vodka. Ovvio.
E i leader politici italiani? per Gaja, Meloni potrebbe essere una Lambrusca, ma forse un Est! Est! Est! (o Ovest! Ovest! Ovest!, battuta di spirito), Tajani un Tavernello, Schlein uno Sfursat, Renzi un vitigno autoctono toscano, il Pulcinculo, e del capo dei Cinque Stelle, Conte fatica a trovare caratteristiche vinicole di “quasità”. Matteo Salvini, il leader leghista, invece, sarebbe un vino dealcolato. Detto da Angelo Gaja non sembra un complimento. E infatti, in tema di vini senza alcol, autorizzati da gennaio anche in Italia, il produttore di Barbaresco sostiene che qualcuno li farà e, secondo lui, andranno a far concorrenza a birra e cola, ma, «con tutto il rispetto», lui, «senza alcun disprezzo», non li farà. Amen.
fi.l.